di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 21331 del 18 Settembre 2013. Per il principio di autonomia dei giudizi, è orientamento costante in giurisprudenza non considerare come causa di sospensione del giudizio di divorzio lo svolgersi contestuale di giudizio di accertamento di nullità del matrimonio incardinato innanzi il tribunale ecclesiastico. Nella sentenza in oggetto la Suprema Corte si pronuncia circa la richiesta, proposta da uno dei coniugi, di revisionare l'importo dell'assegno divorzile (imposto da sentenza civile) a seguito di sopraggiunta sentenza ecclesiastica statuente la nullità del matrimonio. Le statuizioni del giudice civile non vengono infatti toccate da tale sentenza.

Ricorda la Corte come sia possibile procedere alla revisione dell'assegno di divorzile solo per cause sopravvenute, quali, ad esempio, la contrazione di nuove nozze, la morte del beneficiario (queste due circostanze comportano l'estinzione stessa del diritto) o il cambiamento della situazione economica di uno o di entrambi gli ex coniugi. Solo in questo modo le ragioni giustificative poste alle base della decisione giudiziale cessano di essere attuali e possono legittimamente essere modificate. Inoltre, è principio ormai affermato in giurisprudenza quello dell'indipendenza del giudicato civile rispetto all'ecclesiastico. Infatti, "il capo della sentenza che regola i rapporti patrimoniali fra gli ex coniugi non potrà essere messo in discussione dalla sopravvenuta delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio e, in particolare, la delibazione non potrà essere fatta valere come causa sopravvenuta di modifica delle statuizioni di carattere patrimoniale della sentenza di divorzio".


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