di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, sentenza n. 16452 del 1 Luglio 2013. Una lavoratrice subisce un infortunio in itinere (investimento da parte di un muletto) a causa di un'omissione del datore di lavoro, il quale avrebbe posizionato una segnaletica interna al luogo di lavoro in modo del tutto inadeguato. Promuove la stessa giudizio di richiesta risarcimento danni, causa vinta sia in primo che in secondo grado. Sostiene parte attrice che il periodo di prescrizione quinquennale sarebbe stato interrotto dalla notificazione del primo ricorso introduttivo del giudizio corredato da apposita istanza di tentativo obbligatorio di conciliazione, indirizzato sia alla Direzione provinciale del lavoro che al datore di lavoro. Avverso la sentenza d'appello, ed in particolare lamentando l'errata notifica dell'istanza di conciliazione (la quale sarebbe avvenuta a società differente) nonché l'intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento, il datore promuove ricorso in Cassazione.

In merito alla regolarità di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione la Corte afferma che "ai fini dell'espletamento del tentativo di conciliazione, il quale ai sensi dell'art. 412 cod. proc. civ. costituisce condizione di procedibilità della domanda, sia sufficiente, in base a quanto disposto dall'art. 410 bis cod. proc. civ. la presentazione della richiesta all'organo istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro, considerandosi comunque espletato il tentativo obbligatorio di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall'avvenuta comunicazione della richiesta stessa alla controparte". Per quanto riguarda la contestata avvenuta interruzione dei termini di prescrizione la Cassazione ricorda come natura stessa dell'istituto sia il suo carattere recettizio, essendo dunque indispensabile la notifica anche al datore di lavoro.

"Nel caso in esame la decisione impugnata ha evidenziato che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione era stata indirizzata non solo alla DPL ma anche alla società appellante (…) prima della scadenza del quinquennio, e tanto basta per disattendere la censura".

La Suprema Corte rigetta il ricorso e conferma la sentenza di condanna di secondo grado.

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