Chi era Piero Calamandrei? Fu tra i rari professori ed avvocati che non chiesero la tessera del Partito Nazionale Fascista durante il Ventennio. Mantenne la sua autonomia di pensiero continuando sempre a far parte della rete di opposizione al regime. La sua innata raffinatezza e la sua gentilezza erano inconciliabili con la stupida brutalità di quell'odioso regime. Fu animatore della lotta di Resistenza e tra i fondatori del Partito d'Azione, sin dal 1942. Orientò, anche grazie alla rivista "Il Ponte" (scherzosamente può essere definito, parafrasando un popolare marchio di frutta esotica, ...l'Uomo del Ponte), le scelte civili per ripristinare il senso dello Stato in una Paese ch'era un cumulo di macerie, materiali e morali; inaugurò la primavera di una Nazione che aveva tollerato la servitù con un'atroce guerra e poi si era redento; coniò per contrastarlo il termine desistenza, sinonimo di rassegnazione e compiaciuta accettazione dell'esistente, per combattere il sentimento di indifferenza alle speranze di rinnovamento, una condizione in cui affiorano "la facilità di oblio, il rifiuto di trarre le conseguenze logiche della esperienza sofferta, il riattaccarsi con pigra nostalgia alle comode e cieche viltà del passato, il cambiare discorso infastiditi quando si sente parlare di antifascismo, nella sfiducia nella libertà, nel desiderio di appartarsi, di lasciare la politica ai politicanti". Quante affinità rileviamo con il frangente storico che stiamo vivendo. Fu il migliore allievo di Giuseppe Chiovenda; fu processualista grandioso che non dimenticò mai che il processo è essenzialmente studio dell'uomo e la giustizia morale deve prevalere sulla giustizia legale. Fu grande oppositore del giudice burocrate. Il suo libro più letto è un elogio ai giudici.
Piero Calamandrei - a pag. 59 della seconda edizione dell'immarcescibile "Elogio dei giudici scritto da un avvocato", riedito da Ponte alle Grazie nel '99, parla della superbia che accompagna il magistrato che effettua il cambio di toga: "grave peccato per il giudice è la superbia; ma forse è una malattia professionale.
Non so se vi siano giudici che quando giudicano si credono infallibili; ma, se ce ne sono, è giusto riconoscere che il nostro rito giudiziario, e più il nostro costume forense, sembra fatto apposta per indurre il giudice in tentazione di orgoglio. La solennità dell'udienza, le toghe colle nappe dorate, il segreto mistico della camera di consiglio, la unanimità istituzionale della sentenza, ed anche le formule di tradizionale ossequio con cui gli avvocati chiamano i giudici eccellentissimi, e le loro frasi di esagerata umiltà, voi mi insegnate, io ricordo a me stesso, ...e così via, - tutto questo concorre a dare ai giudici una opinione di sé forse un po' superiore alla realtà. Senza volere, tutte quelle cerimonie producono intorno a loro un'atmosfera da oracoli.
La professione dell'avvocato è invece maestra di modestia: non c'è causa in cui il difensore non si trovi di fronte l'avversario che lo rimbecca: qualunque cosa dica, deve esser preparato a sentirsi ribattere che è un errore, o magari una scempiaggine o addirittura una menzogna. Anche ad ammettere che l'avvocato vinca il cinquanta per cento delle cause che difende, basta l'altro cinquanta per cento a dimostrargli che non è infallibile: e a consigliargli di stimar l'avversario che è stato più bravo di lui".
Veniamo al dunque del brillante ragionamento di Piero Calamandrei: "Questa diversa scuola di orgoglio o di umiltà si vede a occhio nudo nei magistrati a riposo che si mettono a far gli avvocati: i quali portano con sé, anche sotto la toga del difensore, l'abito mentale di chi fino a ieri ha considerato come irriverenza ogni confutazione.
Un ex-magistrato che si era messo a far l'avvocato si lasciò sfuggire, in un diverbio col suo avversario, questa frase imprudente: Si ricordi che io sono stato presidente della corte! - Caro Collega, - disse l'avversario - fino a che eri presidente, eri infallibile; ma da quando sei diventato avvocato, bisogna che tu ti rassegni ad ammettere di poter sbagliare. Come magistrato eri un dio: come avvocato sei un uomo: errare humanum est".
A pag. 350 della medesima opera del grande Maestro si osserva che gli ex magistrati, tra i vari gesti e toni degli avvocati, selezionano quelle peggiori: "Per quarant'anni sono stati a tu per tu coi difensori: hanno potuto misurare i loro costumi, nel buono e nel cattivo, vizi e virtù. Ma delle virtù non si sono accorti, o si son dimenticati; ricordano solo i vizi e li imitano: la furberia, la indiscrezione, la invadenza, la prepotenza, la verbosità, tutti aggravati da una certa presunzione di autorità, che l'ex magistrato non ha più, ma che ostenta come se l'avesse ancora. Imitatio in peius: quel presidente che fino a ieri digrignava i denti se il difensore dinanzi a lui osava parlare più di dieci minuti, oggi, che è avvocato, parla due ore senza stancarsi, e se gli altri sbadigliano si indigna".
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