La sua assenza non poteva, comunque, recare danno all'attività aziendale.
La giurisprudenza di legittimità si è pronunciata più volte sull'argomento, affermando che "non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia. Siffatto comportamento può, tuttavia, costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza dell'infermità addotta a giustificazione dell'assenza, dimostrando quindi la sua fraudolenta simulazione, o quando l'attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell'ambito del rapporto di lavoro, sia tale da ritardare o pregiudicare, anche potenzialmente , la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, con violazione di un'obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto
."Inoltre, nel caso di specie, lo svolgimento da parte del lavoratore, assente per malattia, dell'altra attività lavorativa, valutata in relazione alla natura dell'infermità e delle mansioni svolte, poteva pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio e costituiva violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e di conseguenza giustificava il recesso del datore di lavoro.
Per questi motivi la Cassazione respinge il ricorso, confermando la sentenza impugnata.