È ancora reato fare il saluto romano. Lo ha ricordato la sesta sezione penale della Cassazione (sentenza n.35549 /2912), che ha confermato una condanna inflitta dalla Corte d'Appello di Firenze a un 50enne toscano che nel corso di una riunione pubblica ha corredato il classico saluto romano con "slogan inneggianti al razzismo e al regime fascista". A nulla è valso il tentativo di difendersi dall'accusa. L'imputato, nel processo ha provato anche a negare che la persona ritratta nelle foto raccolte nella fase delle indagini non fosse lui. Ma il soggetto era già noto alle forze dell'ordine e alla Digos per vicende similari. La testimonianza di un poliziotto, che aveva avuto a che fare con lui in periodi precedenti, ha confermato che il soggetto ritratto dalle foto con "capo coperto da un cappello, una sciarpa sul volto e un giubbotto imbottito" fosse proprio lui.
"Il giudice d'appello ha fondato il proprio convincimento sulla circostanza che gli imputati erano soggetti già noti alle forze di polizia (in particolare alla Digos e alle Questure della Toscana) per la loro partecipazione ad altre manifestazioni del genere" e che il ricorrente "era pluripregiudicato e, perciò, anche sotto questo profilo, era noto alle forze di polizia", ha dichiarato la Cassazione.
Già in precedenza la stessa Corte (sentenza 25184/2009) aveva avvertito: il "saluto romano" non può essere considerato come una mera espressione della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero. Si tratta di un gesto "che istiga all'odio razziale, cioè che sconfina nell'istigazione alla violenza, e - quindi - come tale va punito ex art. 2 legge 205/93 ". quello che si condanna, aveva già chiarito la corte non è la condotta di chi manifesta la propria opinione di provare sentimenti di simpatia per gesti simboli caratterizzante il disciolto partito nazionale fascista, ma "ma il compimento di una manifestazione esteriore quale il saluto fascista che, nel contesto e nell'ambiente in cui viene compiuta è non solo idonea a provocare adesioni e consensi tra le numerose persone presenti, ma è inequivocabilmente diretta a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale od etnico".
"Il giudice d'appello ha fondato il proprio convincimento sulla circostanza che gli imputati erano soggetti già noti alle forze di polizia (in particolare alla Digos e alle Questure della Toscana) per la loro partecipazione ad altre manifestazioni del genere" e che il ricorrente "era pluripregiudicato e, perciò, anche sotto questo profilo, era noto alle forze di polizia", ha dichiarato la Cassazione.
Già in precedenza la stessa Corte (sentenza 25184/2009) aveva avvertito: il "saluto romano" non può essere considerato come una mera espressione della possibilità di manifestare liberamente il proprio pensiero. Si tratta di un gesto "che istiga all'odio razziale, cioè che sconfina nell'istigazione alla violenza, e - quindi - come tale va punito ex art. 2 legge 205/93 ". quello che si condanna, aveva già chiarito la corte non è la condotta di chi manifesta la propria opinione di provare sentimenti di simpatia per gesti simboli caratterizzante il disciolto partito nazionale fascista, ma "ma il compimento di una manifestazione esteriore quale il saluto fascista che, nel contesto e nell'ambiente in cui viene compiuta è non solo idonea a provocare adesioni e consensi tra le numerose persone presenti, ma è inequivocabilmente diretta a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale od etnico".
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