Integra reato il comportamento del coniuge affidatario che strumentalizza il rifiuto del bambino di vedere l'altro genitore, non favorendo quindi le visite stabilite dal giudice. E' quanto stabilito dala Corte di Cassazione con la sentenza n. 26810 depositata l'8 luglio scorso. Secondo quanto si apprende dalla lettura della sentenza dei giudici di Piazza Cavour, la madre era stata condannata in primo grado per aver reiteratamente eluso il provvedimento giudiziale con cui il giudice civile aveva regolato il diritto di visita del marito da cui si era separata, nei confronti della figlia.
La Corte di appello però, acquisendo alcune testimonianze, aveva ritenuto che la condotta dell'imputata fosse mossa dall'esigenza di assicurare che gli incontri avvenissero in un clima di serenità per la bambina. In sostanza il giudice di secondo grado aveva ritenuto che vi fosse una difficoltà da parte della minore di accettare la figura paterna e nonostante questo la madre aveva comunque cercato di facilitare gli incontri, mediando tra le diverse esigenze, soprattutto quelle della minore. Sulla base di questo ragionamento, la Corte era arrivata ad escludere l'elemento soggettivo del reato, riformando la condanna emessa in primo grado. Su ricorso del padre della minore, che aveva eccepito che l'esclusione del dolo era arrivata in maniera del tutto arbitraria, la Corte ha rilevato una intrinseca contraddittorietà tra il contenuto della decisione di secondo grado e il riconoscimento dell'assunto secondo il quale "in talune occasioni l'imputata ha anche approfittato del rifiuto frapposto dalla minore non adoperandosi efficacemente per agevolare gli incontri tra la stessa ed il padre". Questo ed altri episodi, riportati dai giudici di legittimità, appaiono in evidente contrasto logico con le affermazioni contenute nella sentenza
secondo cui l'imputata non sarebbe mai stata determinata nei suoi comportamenti dalla volontà di ostacolare i rapporti tra figlia e padre. La Corte, annullando la decisione per vizio di motivazione, ha quindi affermato che "riconoscere che "in talune occasioni" la madre abbia approfittato dei "rifiuti" della minore equivale ad una sostanziale ammissione di un profilo doloso, seppur attenuato, della sua condotta, in quanto si riscontra la mancanza di una attiva e doverosa collaborazione da parte del genitore affidatario alla riuscita delle visite e degli incontri dell'altro genitore stabiliti con provvedimento del giudice civile, collaborazione essenziale soprattutto nel caso di un minore in tenera età, nel cui interesse si prevede che entrambi i genitori debbano mantenere e coltivare un rapporto affettivo con il proprio figlio". Il giudice di merito, per negare l'assenza di dolo, avrebbe dovuto, secondo gli Ermellini, dimostrare che il genitore affidatario, nell'impedire al genitore non affidatario il diritto di visita ricusato dal minore fosse stato mosso, effettivamente dalla necessità di tutelare l'interesse morale e materiale del minore.
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