Per il T.A.R. Perugia, sent. 24.9.2010, n. 469, il profilo del mobbing va considerato con estrema cautela di giudizio quando l'ambiente di lavoro è costituito da un corpo militare

Avv. Francesco Pandolfi               cassazionista

E' opinione assai diffusa che il mobbing sia un qualcosa di difficilmente dimostrabile specialmente in ambito militare: diciamo che questa affermazione può essere reputata vera fino ad un certo punto.  

Vediamo in primo luogo i capisaldi della materia.

Costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni - di vario tipo ed entità - al dipendente medesimo. 

Affinché una situazione di mobbing possa concretamente ricorrere occorre quindi che si dia un complessivo disegno vessatorioarticolato per plurimi atti: nessuno dei quali però nel caso concreto, neppure se considerato isolatamente ed ex ante, è in grado di evidenziare, in modo significativo, arbitrio e pretestuosità in chi li abbia posti in essere, piuttosto che la censurabilità delle condotte di chi ne sia stato destinatario. 

La situazione è più specifica in ambiente militare.

In un caso concreto sollevato da un Brigadiere dell'Arma dei Carabinieri, egli sostiene di essere stato "riformato" per inidoneità assoluta a causa di patologie che sarebbero derivanti dal mobbing subito: agisce quindi per il risarcimento.

Ora, bisogna capire se, di fronte alle doglianze della vittima, sussista una derivazione immediata e diretta tra la condizione lavorativa dell'interessato e gli atti vessatori.

Come tra l'altro osservato dal T.A.R. Perugia, con sent. 24.9.2010, n. 469, il profilo del mobbing va considerato con estrema cautela di giudizio quando l'ambiente di lavoro sia costituito da un "... corpo militare caratterizzato per definizione da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. 

In questa situazione, un approccio condizionato dalla rappresentazione soggettiva (se non strumentale) fornita dall'interessato può essere quanto mai fuorviante: si tratta di una situazione nella quale sarà arduo ascrivere al Ministero della Difesa forme di responsabilità ex art. 2087 c.c. per comportamenti dei quali il ricorrente postula di essere stato vittima.

In sintesi, sembra chiaro che l'unica vera difficoltà di provare il mobbing risiede nelle caratteristiche stesse del mondo militare, ossia: 

1) disciplina, 

2) gerarchia, 

3) subordinazione, 

4) adempimento. 

quali tipici fatti che permeano profondamente la vita del militare probabilmente "danneggiato".

Pertanto: tutte le volte in cui taluno ritiene di essere vittima di condotte persecutorie, dovrà verificare accuratamente la sussistenza delle regole tipiche dell'ambiente lavorativo frequentato e, allo stesso tempo, il superamento con la condotta del datore di lavoro della soglia fisiologica insita in ciascuna delle regole richiamate.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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