La Corte di Cassazione, con sentenza n. 8450del 10 aprile 2014, ha ricordato che "il licenziamento dell'invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale sol quando è motivato dalla comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre, quando è determinato dall'aggravamento dell'infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza delle condizioni previste dalla L. n. 482 del 1968, art. 10 ossia la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l'incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall'apposita commissione medica".

Tale principio di specialità - hanno precisato i giudici di legittimità - va ribadito anche in relazione alla nuova normativa, con riguardo alle condizioni e modalità ivi previste.

"La verifica di tali condizioni, poi, è categoricamente riservata alla competenza della apposita commissione, che valuta le condizioni stesse in funzione della maggior tutela riservata ai disabili (per i quali ai fini della risoluzione del rapporto è necessaria la definitiva impossibilità di reinserimento all'interno dell'azienda anche attuando i possibili adattamenti dell'organizzazione del lavoro)".

Nel caso preso in esame dai giudici di Piazza Cavour, la Corte di Appello, riformando la pronuncia di primo grado, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato da una Società nei confronti di un lavoratore invalido, condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a risarcirgli il danno subito.La Corte territoriale aveva riformato la sentenza del primo giudice per non aver considerato che il lavoratore era stato assunto come soggetto invalido avviato al lavoro tramite le apposite liste di collocamento dei disabili e che, per tale qualità, il recesso poteva ritenersi legittimo solo in presenza delle condizioni previste dall'art. 10 della L. n. 68 del 1999.

La Società nel ricorso in Cassazione, obietta che, su iniziativa del lavoratore, la Commissione medica non l'aveva dichiarato completamente inabile al lavoro, bensì abile con la limitazione di evitare la "prolungata stazione eretta". Poiché però nell'organizzazione aziendale non vi erano posizioni lavorative compatibili con tale limitazione era stato necessario licenziare il lavoratore.

Il motivo - si legge nella sentenza - è infondato per le ragioni correttamente richiamate dalla Corte territoriale poiché nella specie "è pacifico che il licenziamento del lavoratore non è stato preceduto da un accertamento effettuato dalla Commissione di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 4, integrata a norma dell'atto di indirizzo e coordinamento di cui all'art. 1, co 4, della L. n. 68 del 1999, che abbia valutato, sentito anche l'organismo di cui al D.Lgs. n. 469 del 1997, art. 6, co. 3, come modificato dall'art. 6 della L. n. 68 del 1999, la definitiva impossibilità di reinserire il lavoratore all'interno dell'azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell'organizzazione del lavoro."

La pronuncia della Corte territoriale, dunque, ha fatto corretta applicazione delle norme di diritto cui è sussumibile la fattispecie concreta.


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