Tirata d'orecchie degli Ermellini ai giudici di merito. La scelta di indicare successivamente il testimone è legittima e non può avere alcun significato a lui sfavorevole

di Marina Crisafi - Il comune deve risarcire il soggetto che inciampa su un tombino, dovendo riconoscersi piena valenza probatoria alla testimonianza del fratello dello stesso, anche se non indicata subito. È quanto ha deciso la terza sezione civile della Cassazione, con la sentenza n. 14706/2016, depositata il 19 luglio scorso (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso del danneggiato avverso la pronuncia della Corte d'Appello che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni nei confronti del Comune, ritenendo non sufficientemente dimostrato il fatto della caduta sul tombino.

Per i giudici di merito, in particolare, era mancata l'adeguata prova sull'effettivo verificarsi dei fatti addotti, in quanto era da considerarsi inattendibile l'unico testimone oculare della caduta, non indicato subito dall'attore nell'atto di citazione. Inoltre, non si dava alcuna contezza "della presenza e dell'intervento nell'immediatezza" del fratello sul luogo del sinistro.

L'infortunato si rivolge al Palazzaccio lamentando insufficiente e contradditorio esame degli elementi decisivi e la violazione dell'art. 184 c.p.c.

Per gli Ermellini, l'uomo ha ragione. Sbaglia la Corte a ritenere che non indicando il nome del teste nell'atto di citazione, l'attore abbia posto in essere un comportamento processuale valutabile a suo sfavore.ictu oculi insostenibile una siffatta posizione - hanno affermato infatti i giudici della S.C. - in uno schema processuale in cui, secondo il testo ratione temporis applicabile dell'articolo 184 c.p.c. (ovvero quello introdotto dall'articolo 18 I. 26 novembre 1990 n. 253, antecedente al testo attualmente vigente derivante dall'articolo 2 d.l. 14 marzo 2005 n. 35) proprio i termini di cui alla suddetta norma sono destinati al dispiegamento completo delle istanze istruttorie. Non risulta pertanto utilizzabile a fine probatorio neanche nella più infima misura il fatto che l'attore si sia avvalso dell'articolo 184 c.p.c. anziché presentare ogni sua istanza istruttoria in modo completo - inclusivo, quindi, dei nomi dei testi - già nell'atto di citazione".

Altrettanto fondato è l'altro motivo di doglianza. La Corte d'appello ritiene infatti non attendibile la testimonianza del fratello, in assenza di una prova documentale, consistente nell'"inesistenza di un referto del pronto soccorso" che non può configurarsi come tale, dando inoltre per scontata "la necessità di una completa conferma documentale della testimonianza" del familiare, "come se il vincolo di parentela automaticamente dovesse inficiare l'attendibilità del teste e rendere necessari riscontri esterni affinché le sue dichiarazioni siano utilizzabili".

Tale impostazione per la S.C. è totalmente erronea. Richiamando i precedenti giurisprudenziali, ha ricordato infatti che: "non sussiste con riguardo alle deposizioni rese dai parenti o dal coniuge di una delle parti alcun principio di necessaria inattendibilità connessa al vincolo di parentela o coniugale, siccome privo di riscontri nell'attuale ordinamento, considerato che, venuto meno il divieto di testimoniare previsto dall'art. 247 c.p.c. per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 248 del 1974, l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente, in difetto di ulteriori elementi in base ai quali il giudice del merito reputi inficiarne la credibilità, per la sola circostanza dell'esistenza dei detti vincoli con le parti" (cfr., da ultimo 4202/2011; Cass. n. 25549/2007).

E d'altronde la prova testimoniale, si legge nella sentenza "anche nel caso in cui si tratti di un unico teste, mai necessita, per espletare la sua valenza, riscontri esterni a suo supporto, tranne nell'ipotesi in cui si tratti - e non è indubbiamente il caso in esame - di testimonianza de relato".

Da qui l'accoglimento del ricorso e la parola passa al giudice del rinvio che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: "Qualora in atto introduttivo sia stata proposta istanza istruttoria di prova testimoniale senza indicare il nome del teste, e quest'ultimo tuttavia sia successivamente indicato entro i termini che il rito consente per il completo dispiegamento delle istanze istruttorie, tale legittima scelta dell'istante non può assumere alcun significato a lui sfavorevole ex art. 116 c.p.c.".

Cassazione, sentenza n. 14706/2016
Vedi anche:
- Insidie stradali - guida legale
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