Le indicazioni divergenti dei giudici di merito sulla "forma" del mantenimento della prole

Prof. Marino Maglietta - I tribunali ordinari di Roma e Milano assorbono percentuali elevatissime del contenzioso in materia di separazione e divorzio: le loro decisioni sono pertanto altamente rappresentative delle tendenze della giurisprudenza e svolgono una funzione pilota. E' dunque di particolare interesse mettere a confronto quanto recentemente deciso dall'uno e dall'altro (Tribunale Milano, sez. IX civ., ordinanza 11 marzo 2016, est. G. Buffone; Tribunale Roma, sez. I civ., sentenza 8 aprile 2016, est. D. Galterio) sulla forma della contribuzione al mantenimento dei figli.

Seguendo l'ordine temporale, il Tribunale di Milano boccia un accordo che prevede che un giovane padre, di scarse capacità economiche, partecipi al mantenimento della figlia solo se deciderà di frequentarla. 

Una simile proposta appare decisamente bizzarra e incomprensibile - come se una penalizzazione accompagnasse l'assolvimento di un obbligo - se non viene integrata da una specificazione sulla possibilità di mantenere un figlio in forma sia diretta che indiretta. 

In altre parole, quello che la coppia concorda è che si esoneri il padre dal versamento di un assegno alla madre (forma indiretta), fermo restando che quando terrà la figlia con sé dovrà provvedere alle spese legate alla convivenza (forma diretta). Quindi, resta evidentemente anomala la decisione di concedere al padre facoltà di scelta tra fare il padre oppure no, opzione giustamente bocciata dal giudice meneghino. Tuttavia, sul punto della forma del contributo il giudice estensore riconosce validità anche alla forma diretta, purché la convivenza sia sufficientemente consistente da rendere gli oneri ad essa associati adeguati al dovere spettante sulla base del reddito:

"ben potrebbe l'accordo ottenere diversa valutazione ove: ... 3) venisse posto a carico del padre (tenuto conto della sua giovane età) un assegno di mantenimento orientativamente simile a quello stabilito dalla separazione consensuale e dai provvedimenti divorzili provvisori (250 mensili); ben ferma la possibilità di un mantenimento diretto, ma con comprovati tempi di frequentazione adeguati".

Decisamente diverso l'approccio del tribunale di Roma. 

Pur dimostrando scrupolosa attenzione alla vicenda e desiderio di usare prudenza ed equità, è l'uso in sé dello strumento giuridico che lascia perplessi. 

In sintesi, è in gioco il mantenimento di due figli maggiorenni ma non autosufficienti, che trascorrono lo stesso tempo presso la madre e presso il padre. Quest'ultimo chiede la cancellazione dell'assegno di mantenimento con divisione a metà delle spese straordinarie; la madre un assegno di 1000 euro, comprensivo anche del contributo alle spese straordinarie. 

L'estensore della sentenza richiama anzitutto le disposizioni di legge, solo che inizia dalla seconda parte del comma IV dell'art. 337-ter, saltando la prima. 

Ovvero, dà per scontato che in presenza di redditi diversi un genitore debba passare all'altro un assegno, determinato in base ai noti cinque parametri. Quindi, svolge diligentemente il compito di elencare le risorse di ciascuno dei genitori e, constatata una migliore situazione economica del padre, fissa in 500 euro il suo obbligo limitatamente alle sole spese ordinarie. 

Per quelle "straordinarie", ovvero tutte quelle non quotidiane, fa ricorso al tradizionale 50%, invocando tuttavia una interessante giustificazione: "E' invece regolando specificamente le spese straordinarie che si ritiene di poter attenuare il conflitto genitoriale, tanto più che la permanenza a settimane alternate dei figli presso ciascuna di esse ... , esige a fortiori una chiarezza nella ripartizione degli impegni a carico di ciascun genitore che finirebbe altrimenti con il riversarsi negativamente sulle prospettive future degli stessi ragazzi". Dove per "regolazione specifica" intende il minuzioso elenco di tutto ciò che va concordato rispetto a ciò che può farsi direttamente - avendo carattere di urgenza - salvo chiederne il rimborso pro quota all'altro.

Una decisione, sia consentitro affermarlo, che appare difettosa sia nella teoria che nella pratica. Riprendendo l'art. 337 ter comma IV nella sua prima parte, ignorata nella sentenza, si legge che l'assegno viene stabilito solo ove ciò sia indispensabile per rispettare la proporzione tra gli oneri e le risorse di ciascuno. 

Si veda, non a caso, la Suprema Corte: "l'assegno per il figlio" può essere disposto "in subordine, essendo preminente il principio del mantenimento diretto da parte di ciascun genitore" (Cass. 23411/2009, est. Dogliotti). Ma, come fare quando i redditi sono diversi? Semplice, si attribuiscono carichi più pesanti al genitore più abbiente. Un sistema che si presenta anche decisamente più funzionale, e soprattutto quando la conflittualità è elevata, come nella fattispecie. Mettiamo a confronto il regime stabilito con quello suggerito. Il primo, per difetto intrinseco, metodologico, definisce la ripartizione dei costi, ma non interviene sul momento della decisione, delle scelte. Quindi su ogni aspetto della vita dei figli (dall'acquisto delle scarpe alla riparazione del motorino) i genitori saranno permanentemente alle prese uno con l'altro, e chi vuole provvedere a un qualsiasi bisogno dovrà andare alla ricerca della relativa autorizzazione. In più, alla fine di ogni mese, si dovranno esibire gli scontrini delle spese sostenute (guai a perderne uno) per effettuare i conguagli. E questa sarebbe una "separazione"? E questo sarebbe un buon sistema per contenere la litigiosità? L'alternativa prevede l'attribuzione per intero a ciascun genitori di capitoli di spesa, assegnati in proporzione del reddito, essendo la consultazione limitata, una tantum, al momento delle scelte di indirizzo (da quale pediatra lo portiamo? Gli compriamo o no il motorino? Gli farà bene o no praticare il tennis? Ecc.). Sapendo poi, una volta per tutte, chi gestisce e paga.

Concludendo, chi scrive è consapevole che la prassi largamente prevalente è, purtroppo, quella del tribunale di Roma. Tant'è che anche le richieste di entrambe parti non si discostavano dallo stesso modello (l'avvocatura procede inevitabilmente nella scia della giurisprudenza, condivisa o meno). Milano, tuttavia, va nella direzione giusta. Anche se nella fattispecie non è indicata la possibilità di compensare redditi maggiori con voci di spesa più onerose, non dubitiamo che questo sia il pensiero di quella illuminata corte. Un esempio da seguire.


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