Il Cnf conferma la sanzione disciplinare della censura a un legale che in udienza si era alzato di scatto e aveva battuto i pugni sul tavolo

di Marina Crisafi - In udienza, l'avvocato non può alzarsi di scatto e battere i pugni sul tavolo usando toni alti nei confronti del giudice. Lo ha ricordato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 100/2015, pubblicata in questi giorni sul sito istituzionale (qui sotto allegata), confermando la sanzione della censura inflitta a un legale dal Coa di Forlì.

Nella vicenda, il professionista reagiva ad un'affermazione del pm in udienza, alzandosi di scatto dal proprio posto, battendo ripetutamente i pugni sul tavolo, e proferendo con tono molto alto la frase "porca miseria adesso basta". Poi, si spostava dal proprio banco mettendosi in mezzo tra il giudice e il pm non volendo saperne di spostarsi nonostante i reiterati inviti a desistere dal suo atteggiamento.

A fronte dell'esposto e delle dichiarazioni rese dai testi, il Coa di Forlì apriva procedimento disciplinare nei confronti dell'avvocato, incolpandolo di violazione "degli artt. 5, 20 e 53 del Codice Deontologico Forense, per aver tenuto una condotta non osservante dei propri doveri di dignità, decoro e rispetto nei rapporti tenuti con il magistrato durante l'attività di udienza e per aver altresì fatto uso di espressioni sconvenienti". All'esito del procedimento, il Consiglio, affermando che l'istruttoria compiuta aveva confermato l'esposto, decideva di irrogare la sanzione disciplinare della censura.

Avverso tale decisione l'avvocato proponeva ricorso, negando i comportamenti a lui ascritti e chiedendo l'annullamento della sanzione, ovvero, in via subordinata l'adozione del "mero richiamo".

Ma il Cnf dà ragione al Coa ritenendo che il comportamento del professionista complessivamente valutato "appare senz'altro violativo dei doveri incombenti sull'avvocato nell'esercizio della professione e nei confronti dei terzi, con particolare riferimento a quelli da osservarsi nell'ambito dell'udienza e nei confronti dei magistrati".

Al riguardo, ricorda il Cnf, l'art. 53 del codice deontologico espressamente prescrive che "i rapporti con i Magistrati devono essere improntati alla dignità e al rispetto quali si convengono alle reciproche funzioni".

Decoro, dignità e rispetto delle reciproche funzioni che in alcun modo il ricorrente avrebbe osservato nelle vicende esaminate, ha sottolineato il Cnf, "colorandosi i suoi comportamenti di un particolare rilievo negativo, ove si consideri che gli stessi sono stati posti in essere proprio in uno dei momenti "centrali" dell'esercizio della professione forense e cioè nel corso di un giudizio".

Il mantenimento di comportamenti ispirati a dignità e decoro da parte dell'avvocato nonché rispettosi sia del ruolo da lui rivestito che dei rapporti con le istituzioni, si legge infine in sentenza "non può essere dismesso in nessun caso, onde evitare che si possa incrinare la fiducia della collettività nella funzione e nel ruolo dell'avvocato e in maniera più ampia nel complessivo sistema di giustizia".

Da qui la conferma della sanzione della censura, ritenuta congrua rispetto ai comportamenti posti in essere.

Cnf, sentenza n. 100/2015

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