Per la Cassazione, soprattutto se la somma è esigua si ritiene che il beneficiario abbia speso tutto il denaro ricevuto per il proprio sostentamento

di Marina Crisafi - Quando in sede di divorzio viene cancellato l'obbligo da parte del coniuge onerato di versare l'assegno all'altro, le somme precedentemente versate per il mantenimento sono irripetibili e dunque non vanno restituite dall'ex, soprattutto se di modesta entità. Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza n. 23409/2015, depositata oggi (qui sotto allegata), respingendo il ricorso di un ex marito che in sede di divorzio aveva visto revocare l'obbligo di contribuzione nei confronti della moglie, precedentemente fissato in 1.000 euro mensili dal tribunale che aveva pronunciato la separazione.

Su richiesta concorde delle parti, viste le modifiche della situazione patrimoniale dell'uomo (che si era trovato a sostenere ingenti spese per la ristrutturazione della casa dove si era trasferito), il tribunale aveva escluso qualsiasi obbligo di contribuzione con decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. L'uomo, però, aveva chiesto che la moglie gli restituisse anche i soldi percepiti dalla sentenza di separazione, ma gli Ermellini gli danno torto.

In tema di separazione personale, hanno affermato dal Palazzaccio "la decisione che nega il diritto del coniuge al mantenimento o ne riduce la misura non comporta la ripetibilità delle maggiori somme corrisposte in forza di precedenti provvedimenti non definitivi, qualora, per la loro non elevata entità, tali somme siano state comunque destinate ad assicurare il mantenimento del coniuge fino all'eventuale esclusione del diritto stesso o al suo affievolimento in un obbligo di natura solo alimentare, e debba presumersi, proprio in virtù della modestia del loro importo, che le stesse siano state consumate per fini di sostentamento personale".

Del resto, la stessa memoria difensiva, ha concluso la S.C. rigettando il ricorso, "riconosce la loro irripetibilità alla luce della giurisprudenza di legittimità".

Cassazione, ordinanza n. 23409/2015

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