La Corte si mostra più permissiva rispetto ad una precedente pronuncia delle Sezioni Unite
Fintanto che le piantine di cannabis non sono "giunte a maturazione" la loro coltivazione non costituisce reato. Parola di Cassazione. La Corte, mostrandosi più permissiva rispetto ad una precedente pronuncia delle Sezioni Unite che puniva la coltivazione domestica di cannabis anche per uso personale, ha stabilito che "deve escludersi la rilevanza penale" di una coltivazione se le piantine non hanno raggiunto la maturazione.

Il motivo? Perché sussista il reato occorre dimostrare "in concreto e non a futura memoria, con assoluta certezza al di la' di ogni ragionevole dubbio, che la sostanza detenuta sia in grado di produrre effetti droganti". Sulla base di tale principio i Giudici di Piazza Cavour (Sentenza 1222/2009) hanno assolto "perché il fatto non sussiste" un uomo che i giudici di merito avevano in precedenza condannato alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione oltre che a 7 mila euro di multa. L'uomo era accusato di aver coltivato, senza la prescritta autorizzazione, 23 piantine di cannabis sativa, in un terreno vicino alla sua abitazione.

La Corte d'appello di Ancona, aveva confermato la condanna affermando che "l'assenza di principio attivo" (il cosiddetto THC) nelle 23 piante fosse una circostanza irrilevante dato che una consulenza tossicologica aveva chiarito come le piantine se lasciate giungere a maturazione, avrebbero poi prodotto "una notevole quantità di principio attivo". Diverso l'orientamento della Cassazione secondo cui la non maturazione della cannabis "deve escludere la rilevanza penale del fatto".

Il relatore Antonio Bevere in proposito ha scritto che "non e' suscettibile dell'accertamento chiesto al giudice l'affetto stupefacente in una pianta in cui il ciclo non si e' completato e che quindi non ha prodotto sostanza idonea a costituire oggetto del concreto accertamento della presenza di principi attivi". Quanto poi alla "prognosi espressa dal consulente tecnico sulla futura esistenza dei principi attivi", la Suprema Corte ha osservato che "non può equivalere all'accertamento richiesto al giudice dalla Corte costituzionale e dalle sezioni unite, all'esito del quale può ritenersi dimostrata l'offensività della condotta dell'agente, nella sua accezione concreta". Per questo "l'accertamento a futura memoria, in cui si ipotizza, più che la attuale produzione di principi attivi, l'attuale assenza di ostacoli alla futura produzione di principi attivi, non può fondare una dichiarazione di responsabilità in un ordinamento in cui vige il principio della presunzione della non colpevolezza".

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