"L'originario dissenso alla trasfusione inizialmente formulato dal paziente con una valutazione altamente probabilistica prima dell'intervento chirurgico da lui accettato non può considerarsi più operante al momento successivo allorchè, nel corso dell'intervento, davanti a un quadro clinico fortemente mutato, si sia prospettato un imminente pericolo di vita, senza più possibilità d'interpello al paziente, non rilevandosi praticabili altri mezzi per salvarlo". Nel caso di specie il paziente accetta di venir sottoposto a intervento chirurgico, ma dichiara di non essere disposto alla trasfusione ematica che poi si appalesa indispensabile in sala operatoria: ad avviso della S.C. la condotta dei sanitari nell'effettuare tale mezzo salva-vita appalesatosi necessario nel corso dell'intervento chirurgico è corretta, e dunque nessuna azione risarcitoria può essere avanzata nei loro confronti dal paziente che lamenti l'inottemperanza al dissenso a suo tempo manifestato. La Cassazione sembra condividere al tesi, diffusa in dottrina, secondo cui nel rapporto d'opera professionale - specie se a carattere delicatissimo qual è un intervento chirurgico - il professionista deve sentirsi libero nella scelta della terapia che si prospetti più opportuna alla guarigione: in particolare, quando è in gioco la vita o la morte di un paziente non in grado di decidere coscientemente del proprio destino, non si possono tenere le mani legate a chirurghi e sanitari. (Avv. Tiziana Cantarella)
Cass. Civ., sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4211 - Avv. Tiziana Cantarella

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