L'interpretazione della legge, si sa, non ha limiti e così anche un'insegnante può trasformarsi in una mamma a tutti gli effetti di legge, specialmente se chiamata a rispondere davanti a un giudice penale.
Se dunque punisce i suoi alunni può essere condannata anche per il reato di "maltrattamenti in famiglia". E' quanto affermano i Giudici della Cassazione in una recente sentenza (8364/2007) con la quale hanno confermato la condanna per il reato previsto dall'art. 572 del codice penale ad una maestra elementare che aveva "percosso fisicamente" alcuni alunni esercitando su altri delle "intimidazioni psicologiche".
Dopo essersi vista infliggere condanna a cinque mesi e dieci giorni di reclusione, la maestra si e' rivolta alla Suprema Corte, sostenendo che i procedimenti disciplinari a suo carico si erano risolti positivamente.
I Giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso della donna evidenziando che i giudici di merito avevano correttamente applicato l'art. 572 del codice penale basandosi da un lato su un verbale d'assemblea dei genitori in relazione ad una "procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale" e, dall'altro, sul contenuto di una lettera in cui "numerosi genitori lamentavano il costante ricorso da parte dell'insegnante a forme di intimidazione psicologica ed a punizioni fisiche nei confronti dei bambini".
Anche per la legge dunque il concetto antropologico di famiglia nucleare sembra potersi estendere a relazioni ben più complesse in cui alla figura archetipa della madre possono ben sostituirsi altre figure (come qualla della maestra) a patto che queste svolgano o abbiano il compito di svolgere quelle stsse funzioni protettive generalmente attribuite alla figura materna.

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