Cassazione Penale, sentenza 9 gennaio 2015, n. 520. L'imputato aveva eccependo la violazione dei diritti costituzionalmente garantiti, che venivano subordinati alle esigenze di spesa della P.A.

Imputato del delitto di rapina aggravata e già condannato in primo grado, un uomo era riuscito ad ottenere, tramite il suo difensore, la conversione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, "rafforzata" però, data la sua pericolosità sociale e il rischio di reiterazione del reato, dal c.d. braccialetto elettronico.

Peccato, però, che la polizia giudiziaria locale non disponesse del congegno tecnologico.

Così l'uomo è rimasto in carcere.

La vicenda è finita sotto la lente della Suprema Corte, di fronte alla quale il legale dell'imputato, eccependo la violazione dei diritti costituzionalmente garantiti, che venivano subordinati alle esigenze di spesa della P.A., chiedeva l'annullamento dell'ordinanza di conferma della misura cautelare in carcere.

Ma per la seconda sezione penale della Cassazione, tale conferma, una volta preso atto dell'assenza materiale del dispositivo elettronico, conditio sine qua non per la concessione dei domiciliari, è una scelta obbligata.

Con sentenza n. 520 del 9 gennaio 2015, i giudici del Palazzaccio hanno preliminarmente ricordato che "la previsione di cui all'art. 275-bis c.p.p., che consente al giudice di prescrivere - con gli arresti domiciliari

- l'adozione del c.d. "braccialetto elettronico" non ha introdotto una nuova misura coercitiva, ma solo una mera modalità di esecuzione di una misura cautelare personale; ciò in quanto il braccialetto rappresenta una cautela che il giudice può adottare, non già ai fini della adeguatezza della misura più lieve, ma ai fini del giudizio sulla capacità effettiva dell'indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, assumendo l'impegno di installare il braccialetto e di osservare le relative prescrizioni".

Per cui, ha affermato il collegio, ove tale misura sia considerata necessaria dal giudice, ma, tuttavia, "non possa essere concessa per la concreta mancanza del suddetto strumento di controllo da parte della P.G., non sussiste alcun vulnus ai principi di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione, perché la impossibilità della concessione degli arresti domiciliari senza braccialetto dipende pur sempre dalla intensità delle esigenze cautelare, comunque ascrivibile alla persona dell'indagato".

Del resto, ha concluso la Corte rigettando il ricorso, non "può pretendersi che lo Stato predisponga un numero indeterminato di braccialetti elettronici, pari al numero dei detenuti per i quali può essere utilizzato, essendo le disponibilità finanziarie dell'Amministrazione necessariamente limitate, come sono limitate tutte le strutture (carcerarie, sanitarie, scolastiche, etc.) e tutte le prestazioni pubbliche offerte ai cittadini, senza che ciò determini alcuna violazione del principio di eguaglianza e degli altri diritti costituzionalmente tutelati".

Cassazione Penale, testo sentenza 9 gennaio 2015, n. 520

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