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Piccolo imprenditore, impresa artigiana e familiare


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Avv. Valeria Zeppilli - In base alla dimensione dell'impresa è possibile distinguere l'imprenditore in piccolo e medio-grande. Il Codice Civile delimita le due figure individuando solo il piccolo imprenditore e lasciando che quello medio-grande sia determinato in via residuale. 

Il piccolo imprenditore nel codice civile

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Sulla base dell'art. 2083, il piccolo imprenditore è identificato nel coltivatore diretto del fondo, nell'artigiano, nel piccolo commerciante e in colui che esercita un'attività professionale organizzata utilizzando prevalentemente il lavoro proprio e dei propri familiari. E' evidente che laddove l'imprenditore presti il proprio lavoro nell'impresa e questo, unito al lavoro dei familiari, sia prevalente rispetto al lavoro di terzi si è in presenza di una piccola impresa. Il lavoro dell'imprenditore e dei suoi familiari, inoltre, dovrà essere prevalente anche rispetto al capitale, non potendosi mai ravvisare una piccola impresa laddove vi sia un capitale ingente.

Viceversa non è pacifico in dottrina se i requisiti appena citati, in presenza dei quali è innegabile la configurabilità di una piccola impresa, siano da ricercare anche nelle ipotesi di coltivazione diretta del fondo, di attività artigiana, di piccola attività commerciale o la natura di tali attività ne renda irrilevante la sussistenza.

La disciplina applicabile al piccolo imprenditore

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Il piccolo imprenditore è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili e non è assoggettabile a fallimento o alle altre procedure concorsuali, in quanto la disciplina alla quale è soggetto è quella dell'imprenditore in generale e mai quella dell'imprenditore commerciale. Anche l'iscrizione nel registro delle imprese non ha finalità costitutive, come per l'impresa commerciale, ma di mera pubblicità notizia.

Con riferimento all'assoggettabilità a fallimento, in ogni caso, occorre precisare che i requisiti in presenza dei quali un imprenditore è considerato piccolo ed è escluso da tale procedura non sono quelli in generale previsti dal Codice Civile ma sono da ricercare nell'art. 1 della legge fallimentare. Tale disposizione, nel dettaglio, esonera dal fallimento gli imprenditori che, pur esercitando attività commerciale, abbiano avuto un attivo patrimoniale annuo non superiore a  € 300.000,00 nei tre esercizi antecedenti il deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività, se più recente; abbiano realizzato in tale periodo ricavi lordi di ammontare annuo non superiore a € 200.000,00 e abbiano debiti, anche non scaduti, per un ammontare non superiore a € 500.000,00. Tali tre requisiti devono sussistere congiuntamente. 

L'impresa artigiana

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Una particolare categoria di piccola impresa è quella artigiana. Essa si caratterizza per il fatto che la sua attività prevalente è quella della produzione di beni, anche semilavorati, e della prestazione di servizi, con esclusione delle attività agricole e di quelle di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione di beni o ad esse ausiliarie, di somministrazione al pubblico di cibi e bevande. Si caratterizza, inoltre, per il fatto che l'imprenditore esercita direttamente tali attività, in misura prevalente rispetto all'apporto lavorativo di terzi, e interviene nel processo produttivo, non limitandosi, quindi, alla mera gestione. In capo all'imprenditore artigiano ricade la piena responsabilità per tutti i rischi e gli oneri derivanti dalla direzione e dalla gestione dell'impresa.

Tale tipologia di impresa può anche organizzarsi in forma di società, tranne che in società per azioni e in accomandita per azioni. In tal caso lo svolgimento di lavoro personale è richiesto alla maggioranza dei soci o ad almeno uno se i soci sono solo due. Non è però richiesto il requisito della prevalenza di tale prestazione lavorativa rispetto agli altri fattori produttivi.

A far data dal 2012 non esiste più l'apposito albo in precedenza previsto per le imprese artigiane ma ci si è limitati a istituire per la loro annotazione una sezione speciale del registro delle imprese.

L'impresa familiare

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Nonostante assai spesso le due nozioni coincidano, la piccola impresa deve essere tenuta distinta dall'impresa familiare, che non è necessariamente piccola.

Per impresa familiare si intende quella nella quale collaborano l'imprenditore e la sua famiglia nucleare, ovverosia coniuge, figli, genitori, nipoti, suoceri, nuore, generi e cognati.

La partecipazione nell'impresa è trasferibile solo ad altro membro della famiglia nucleare e previo consenso unanime degli altri familiari partecipanti. Essa inoltre è liquidabile in denaro se l'azienda viene alienata o cessa la prestazione di lavoro.

Ai membri della famiglia che collaborano nell'impresa sono riconosciuti determinati diritti patrimoniali a tutela del loro lavoro, che si estrinsecano nel diritto al mantenimento, nel diritto di partecipazione agli utili e nei diritti sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell'azienda. Essi, inoltre, sono titolari di un diritto di prelazione sull'azienda nel caso in cui questa venga trasferita o in ipotesi di divisione ereditaria.

La configurazione dell'impresa familiare come impresa individuale, che sembra oggi prevalere rispetto alla sua riconducibilità all'impresa collettiva, fa sì che i diritti patrimoniali dei familiari siano dei semplici diritti di credito nei confronti dell'imprenditore.

Sul piano gestorio, mentre gli atti di gestione ordinaria sono di competenza esclusiva dell'imprenditore, gli atti di gestione straordinaria sono adottati con il voto della maggioranza dei familiari che collaborano nell'impresa. 

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