Spogliarsi allo stadio 'incita alla violenza'. Lo dice la Cassazione che ha respinto il ricorso di un tifoso bresciano cui era stato vietato l'ingresso allo stadio per essersi denudato sugli spalti. Secondo piazza Cavour 'e' indiscutibile che una condotta di questo tipo integri incitamento o induzione alla violenza'. A sollevare il caso davanti alla Suprema Corte, Claudio F., un 33enne che nel '99, proprio all'inizio del campionato, era andato allo stadio 'Friuli' di Udine per seguire la sua squadra del cuore che sfidava l'Udinese. Durante il tifo sugli spalti, pero', Claudio si era 'abbassato i pantaloni e le mutande, esibendo gli organi genitali'. Uno spogliarello sugli spalti seguito dal rifiuto del tifoso di fornire le proprie generalita' alle forze dell'ordine. Il comportamento era costato all'ultra' il divieto d'accesso allo stadio in occasione delle partite del Brescia per un anno, con obbligo di presentarsi alla Questura mezz'ora dopo l'inizio di ogni partita di calcio. Il provvedimento era stato emesso dal gip del Tribunale di Udine che, il 29 maggio del 2001, aveva convalidato il provvedimento del questore emesso il giorno prima. Contro il divieto di andare allo stadio ha protestato in Cassazione Claudio F., sostenendo che nel suo spogliarello 'non si sarebbe potuto ravvisare alcun fatto di violenza o di incitazione alla violenza'. Tesi bocciata dai giudici della Terza sezione penale che, con la sentenza
23917, hanno respinto il ricorso dell'ultra' sottolinenando che 'e' indiscutibile' che lo spogliarello 'integri, quanto meno, incitamento o induzione alla violenza'. Tuttavia la Suprema Corte, dopo aver condannato il gesto ose' del tifoso, ha annullato con rinvio l'ordinanza di convalida dell'obbligo di presentazione alla polizia, chiedendo che il gip del tribunale udinese di verificare se al giovane erano state concesse le 48 ore di tempo per difendersi a partire dalla notifica del divieto di ingresso allo stadio.

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