Il possesso della cittadinanza italiana è richiesto dall'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (norma in vigore anche per il lavoro contrattuale, non attenendo alla disciplina del rapporto), recante lo stato dei dipendenti pubblici statali, quale requisito per l'accesso agli impieghi civili dello Stato. L'art. 38 del d.lgs. 30 marzo 2000, n. 165, nel regolare l'accesso dei cittadini degli Stati membri dell'UE "ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche", prevede anche la fissazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, dei "posti e [del]le funzioni per i quali non può prescindersi dal possesso della cittadinanza italiana
". Tali posti sono stati precisati con il d.P.C.M. 7 febbraio 1994, n. 174. L'art. 41 del d.lgs. n. 29/1993 rimetteva ad un regolamento successivo la fissazione dei requisiti generali di accesso al pubblico impiego. Il regolamento fu emanato con il d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487, che all'art. 2 reca la disposizione che "possono accedere agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni i soggetti che posseggono i seguenti requisiti generali: 1) cittadinanza italiana...". Pur avendo abrogato l'art. 41 con l'art. 43, il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, ha mantenuto in vita il d.P.R. n. 487/1994, di modo che i requisiti per l'accesso al pubblico impiego continuano ad essere fissati dal regolamento ivi contenuto (vedi ora l'art. 70, comma 13, d.lgs. 165/2001: In materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti). Risulta, quindi, superata la tesi secondo cui il principio di parità, recato dall'art. 2 d.lgs. 286/1998, doveva prevalere sulle disposizioni, di rango regolamentare, del d.P.R. 497/1994, disposizioni che, come constatato, sono state ormai "legificate". LaPrevidenza.it,
Cassazione, Sez.Lavoro, Sentenza 13.11.2006, n. 24170

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