Secondo lo studio della Cgia di Mestre, tre italiani su dieci sono a rischio povertà o esclusione sociale. Colpa dell'aumento delle tasse e di una spesa sociale tra le più basse d'Europa

di Gabriella Lax - Tre italiani su dieci a rischio povertà o esclusione sociale. Lo riferisce uno studio della Cgia di Mestre. La colpa? Da un lato, l'aumento delle tasse; dall'altro, la spesa sociale del Paese tra le più basse dell'Europa.

A rischio povertà 3 italiani su10: i dati Cgia

Secondo lo studio, il rischio di povertà, in 10 anni, a partire dal 2006 è aumentato di quasi 4 punti percentuali, raggiungendo il 30% della popolazione. I soggetti in stato di povertà o disagio grave sono passati da 15 a 18,1 milioni. Tendenza opposta al livello medio europeo che si è alzato di un punto, fermandosi al 23,1%, dunque ben 6,9 punti in meno rispetto alla media del nostro Paese. Se si fa un confronto con i nostri vicini, Francia e Germania, si scopre al contrario che, in 10 anni, il rischio povertà è addirittura diminuito e attualmente presenta un livello di oltre 10 punti in meno al dato medio nostrano.

La pressione tributaria invece aumenta, attestandosi, nel 2016, al 29,6%. Nessuno tra i competitor europei arriva a questi numeri: la Francia si assesta al 29,1%, l'Austria al 27,4%, il Regno Unito al 27,2%, i Paesi Bassi al 23,6%, la Germania al 23,4%, infine la Spagna al 22,1%. Guardando alla spesa pensionistica, il costo della spesa sociale sul Pil (disoccupazione, invalidità, casa, maternità, sanità, assistenza, etc.) si è fermato all'11,9%.

Rischio povertà, Meridione fanalino di coda

Se si guarda all'Italia la situazione più critica riguarda le zone del Mezzogiorno. Sempre secondo i dati del 2016: il rischio povertà o di esclusione sociale sul totale della popolazione ha raggiunto il 55,6% in Sicilia, il 49,9% in Campania e il 46,7% in Calabria.

Altri dati critici riguardano il rapporto debito/Pil salito di più di 30 punti. La disoccupazione resta sopra l'11%, quando prima della crisi era al 6%. Gli investimenti calano di oltre 20 punti. Quelli che hanno avuto una sorte peggiore sono i lavoratori autonomi che, rispetto a quelli dipendenti non beneficiano, nel caso di cessata attività, di alcun ammortizzatore sociale. E, sovente, chi perde il lavoro non è più neanche giovane. Circostanze queste che incentivano la diffusione del lavoro in nero.


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