E' polemica sulle dichiarazioni di un giudice toscano in un'udienza per il cambio di sesso di una transessuale

di Gabriella Lax - Transessuale uguale prostituta. Questo è stato il teorema partorito da un giudice in un causa in Toscana appena qualche giorno fa. Un caso che ha fatto scalpore, riportato dal Fatto Quotidiano, raccontato dall'avvocato Cathy La Torre, in prima linea per i diritti Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

Lo scorso giovedì in un tribunale toscano si è tenuta un'udienza sul cambio di sesso e nome di una transessuale, durante la quale la giudice relatrice ha rilasciato dichiarazioni discutibili. «È disoccupata? Ah, quindi lei si prostituisce? Si metta a verbale che la parte è una prostituta». Queste le affermazioni pronunciate dal magistrato che il legale ha denunciato, perché avrebbe dato della prostituta alla trans quarantenne pur non avendone alcuna prova. Accusa che potrebbe costare cara alla giudice poiché l'avvocato vuole segnalare il comportamento al Consiglio superiore della magistratura

. Sul nome del transessuale vige l'anonimato poiché il giudizio civile è ancora in corso. L'udienza riguardava la richiesta di cambio di nome e di sesso da parte della ragazza, che da oltre 20 anni vive da donna (che ha fatto terapie ormonali e operazioni per rifarsi il seno ma non quella ai genitali) e che voleva avere finalmente i documenti rispondenti alla sua identità. La transessuale con i legali La Torre e Cristina Polimeno si è ritrovata davanti un collegio di tre giudici. Il caso in giudizio era stato ben introdotto. Secondo la testimonianza degli avvocati, in un momento successivo era stato chiesto al collegio se voleva sentire la loro cliente. Solitamente la prassi vuole che il giudice verifichi rigorosamente l'immedesimazione nel genere eletto sia con una consulenza medica, sia ponendo delle domande. Il presidente del collegio prima ha risposto che non aveva interesse a sentire la parte. Ma dopo pochi secondi le ha chiesto: «Lei di cosa si occupa? Che lavoro fa?». E la parte ha risposto di essere disoccupata, anche a causa dei documenti difformi rispetto all'apparenza fisica.
«Ah, quindi lei si prostituisce?». La donna a quel punto è scoppiata a piangere, mentre la giudice invitava a scrivere a verbale «che la parte è una prostituta». Le due legali hanno protestato, dicendo che la loro cliente (che effettivamente per vivere è costretta a prostituirsi) non aveva risposto alla domanda se fosse o meno una prostituta. Per gli avvocati dunque «che un giudice si permetta di avvalorare lo stereotipo trans uguale prostituta, è un fatto gravissimo. Con un tasso di disoccupazione tra persone trans al 88%, proprio a causa dei documenti difformi, il giudice avrebbe dovuto capire non solo che quella domanda non si fa, ma che spesso è proprio colpa della difformità dei documenti se le persone trans sui prostituiscono».


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