Prof. Luigino Sergio 

A seguito di un contenzioso insorto tra un Consorzio di cooperative e la Regione Valle d'Aosta posto in essere in sede di realizzazione delle opere previste dopo l'aggiudicazione della gara al Consorzio di cooperative suddetto, il competente dirigente regionale ha disposto ai sensi dell'art. 134 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 il recesso dal contratto a suo tempo stipulato con il Consorzio medesimo.

Quest'ultimo con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per la Valle d'Aosta ha chiesto l'annullamento di tale provvedimento, nonché della conseguente sua comunicazione e di ogni altro atto presupposto e conseguente.

In tale primo grado di giudizio si è costituita la Regione Autonoma Valle d'Aosta, eccependo al riguardo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, il quale ha successivamente dichiarato il difetto di giurisdizione dello stesso giudice amministrativo, compensando integralmente tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.

Si premette che ai sensi del d.lgs. 12 aprile 2006, n, 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, art. 1, comma 7, «gli appalti pubblici di lavori sono appalti pubblici aventi per oggetto l'esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l'esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la progettazione esecutiva e l'esecuzione, relativamente a lavori o opere rientranti nell'allegato I, oppure, limitatamente alle ipotesi di cui alla parte II, titolo III, capo IV, l'esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un'opera rispondente alle esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall'ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara».

Ma vediamo cos'è il recesso e la revoca del contratto, prima di entrare nel merito della questione in esame.

Innanzitutto il codice civile, all'art. 1321 dispone che «il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale» e che il contratto, ai sensi dell'art. 1326 «è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte»; inoltre la proposta contrattuale, ai sensi dell'art. 1328 c.c., può essere revocata finché il contratto non sia concluso.

In ambito amministrativo la revoca ha ricevuto una regolazione giurisprudenziale, mirata  al riconoscimento  in capo alla p.a. di un generale potere di revoca degli atti amministrativi, espressione di un più ampio potere di autotutela.

Oggi l'istituto della revoca è normato dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 21-quinquies, il quale, al comma 1, prevede che il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell'interesse pubblico originario; la revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti e se essa comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo.

I commi 1-bis e 1-ter dell'art. 21-quinquies della L. n. 241/1990 prevedono che «ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.

Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico».

Il recesso è definibile come la manifestazione di volontà con cui una delle parti del contratto produce lo scioglimento totale o parziale del rapporto giuridico negoziale, determinando l'estinzione dell'accordo tra le parti.

Il codice civile al.l'art. 1373, rubricato recesso unilaterale, prevede al comma 1 che «se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione»; mentre al comma 2 dispone che qualora l'esecuzione del contratto (ma soltanto se continuata o periodica), sia iniziata, in tal caso «il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso d'esecuzione».

L'atto di recesso non è revocabile, nel senso che il pentimento del recedente può assumere giuridico rilievo, una volta che sia stato prodotto il suo effetto estintivo, soltanto rinnovando il contratto ovvero determinando un nuovo incontro della volontà delle parti. 

Si rammenta che ai sensi dell'art. 1372, comma 1 c.c. «il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge».

Se così stanno le cose, quanto disposto dallo stesso codice civile, all'art. 1373, in tema di recesso, può sembrare elemento che affievolisce la forza giuridica del contratto, poiché deroga alla regola del mutuo consenso riguardo allo scioglimento del vincolo contrattuale; anche se a ben guardare così non è, in quanto la facoltà di recedere dal contratto ad una delle parti trova pur sempre la sua fonte nella concorde volontà delle parti.

La dottrina e la giurisprudenza sostengono l'irretroattività del recesso, ma l'ultimo comma dello stesso art. 1373 c.c. rende salvo ogni patto contrario, fatto per cui le parti possono convenire la restituzione delle prestazioni, fermi restando i diritti frattanto acquistati dai terzi che ai sensi dell'art. 1372, c. 2°, c.c., restano intangibili anche a seguito di pattuizione fra le parti del contratto.

Il recesso è atto ricettizio, nel senso cioè che la sua efficacia si dispiega solo quando esso venga a conoscenza del destinatario. 

L'art. 1334 c.c. disponendo in merito all'efficacia degli atti unilaterali, prevede che «gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati» e l'art. 1335 c.c. regolando la presunzione di conoscenza prevede che «la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario , se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia».

In ambito privatistico il recesso dall'appalto è regolato dall'art. 1671 c.c., il quale prevede che «il committente può recedere dal contratto, anche se è stata iniziata l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio, purché tenga indenne l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno»; mentre in ambito pubblicistico il recesso è previsto dal d.lgs. n. 163/2006, art. 134, il quale al comma 1 dispone che «la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite».

Inoltre l'esercizio del diritto di recesso è preceduto da formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettua il collaudo definitivo.

Dopo esserci soffermati giuridicamente sugli istituti oggetto d'esame e ritornando nel merito della decisione del C.d.S. n. 4025/2014, già nello scorso mese di giugno, l'Adunanza Plenaria della Suprema Corte (Sent. n. 14/2014) aveva statuito che «nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell'aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall'art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006 (codice degli appalti)». 

Il C.d.s. nella propria decisione n. 45/2014, è dell'avviso che «il netto discrimine che l'art. 244 del d.lgs. n. 163 e l'art. 133, comma 1, lett. e), cod. proc. amm. introducono tra la fase della scelta del contraente con la pubblica amministrazione, retta da norme cc.dd. "di azione" che involgono un sindacato proprio della discrezionalità amministrativa devoluto a questo giudice, e la fase dell'esecuzione del contratto conseguente a tale scelta» è concettualmente non diverso dai contratti stipulati tra i soggetti privati e - pertanto - naturalmente ricadente nella giurisdizione del giudice ordinario; mentre all'interno dell'esecuzione del contratto le uniche ipotesi di devoluzione della materia alla cognizione del giudice amministrativo sono tassativamente individuate dalla susseguente lett. f) dello stesso comma, contemplante le controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell'ipotesi di cui all'art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento dei prezzi ai sensi dell'articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto.

Viceversa per il recesso «permane la giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di disciplina legislativa che comunque configura tra le parti una posizione paritetica (cfr. sul punto, ex plurimis, Cass. SS.UU., 28 novembre 2008 n. 28345; Cons. Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2010 n. 469; Sez. V, 7 gennaio 2009 n. 8)».

In conclusione la Suprema Corte, con la sentenza n. 4025/2014 conferma che nel procedimento di affidamento di lavori pubblici le pubbliche amministrazioni se, dopo aver stipulato il contratto di appalto, rinvengono sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell'aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo disciplinato dall'art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006.

Prof. Luigino SERGIO
(già Direttore Generale della Provincia di Lecce;
esperto di organizzazione e gestione degli enti locali)


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