Lo scorso 6 novembre, dopo più di due anni di trattazione, la Camera dei Deputati ha definitivamente approvato la proposta di legge n. 543 recante "Norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato" che, fra breve, verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. L'iniziativa legislativa in parola, fortemente voluta dalla lobby degli avvocati a tempo pieno, ma parimenti osteggiata da coloro che, in regime agevolativo di part time, ne saranno alquanto danneggiati attraverso la coazione ad una definitiva scelta alternativa, prende le mosse dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successive modificazioni e integrazioni. All'articolo 3 di tale provvedimento è stabilito che l'esercizio delle professioni di avvocato e di procuratore è incompatibile con diverse attività professionali, private e pubbliche. Al comma 2, fra l'altro, sancisce l'incompatibilità "con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Province, dei Comuni..." e, in generale, di "qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica soggetta a tutela o vigilanza dello Stato, delle Province e dei Comuni. Da tale generale divieto sono esclusi, naturalmente, coloro che proprio nell'interesse esclusivo di una Pubblica Amministrazione esercitano la professione legale presso l'ufficio legale dell'Amministrazione stessa. La legge 23 dicembre 1996, n. 662, il cosiddetto "collegato" alla manovra finanziaria
per il 1997, ai commi 56, 56-bis e 57 dell'articolo 1 ha di fatto cancellato tale incompatibilità per i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, per i quali non si applicano, genericamente, le disposizioni di cui all'articolo 58 del decreto legislativo
n. 29 del 1993 - ora recepito dall'articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali. Dal momento che il rapporto part-time può essere costituito per tutti i profili professionali e tutte le carriere, ad eccezione del personale militare, di quello delle Forze di Polizia, di quello della carriera prefettizia, e del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, l'eccezione prevista dalla legge n. 662 citata si è rivelata immediatamente di larga portata. Da parte forense la mobilitazione contro tale legge è stata immediata: si è contestato, fondamentalmente, la difficoltà di un esercizio "a metà" di una professione che, soprattutto con il nuovo procedimento penale, richiede un impegno temporale davvero esteso e, parallelamente, è stata rilevata l'incompatibilità "genetica" fra la natura indipendente dell'attività forense e quella "dipendente" dell'attività prestata per la Pubblica Amministrazione.
A ciò si aggiunga che anche l'attività nella Pubblica Amministrazione ora assume rilievi e tipologie sempre più coinvolgenti e "esclusiviste": dunque l'incompatibilità fra le due attività risulterebbe nella natura delle cose. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, contrariamente al precedente assunto, con la sentenza n. 189 del 2001 ha ravvisato nel regime part time un nuovo modo di intendere il rapporto di impiego pubblico, superando il canone della esclusività della prestazione, sottolineando anche che il complesso dei controlli che legittimano l'attività forense è idoneo a garantire la piena correttezza dell' esercizio della professione. E ciò anche in costanza di due attività apparentemente inconciliabili. La vicenda, tuttavia non si è arrestata. Della questione è stato investito il Parlamento con la proposta di legge che non ha avuto vita facile ed ha subito costanti modificazioni, pur essendo testualmente brevi, nell'intento di ritardarne o di accelerarne l'entrata in vigore. Lo scorso 6 novembre, dunque, lo sblocco, che sarà definitivo con la prossima imminente pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale. In tale testo di legge si aboliscono, limitatamente alla professioen forense, le disposizioni recate dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662: per gli avvocati, dunque, vengono ripristinate le precedenti incompatibilità previste dalla normativa del 1933/34. Viene altresì descritto nel dettaglio il regime "transitorio", necessario in una normativa del genere. I pubblici dipendenti che vogliano optare per il rapporto di impiego hanno 36 mesi dalla entrata in vigore della presente legge - un tempo davvero non breve, rispetto ai 6 mesi originari, ma scaturito dalla necessità del portare a compimento le cause pendenti - per darne comunicazione al Consiglio dell'Ordine. In mancanza, si applica l'automatica cancellazione. Entro lo stesso termine si può optare per il mantenimento dell'iscrizione nell'albo, rinunciando al rapporto d'impiego, anche se, in tale caso, il pubblico dipendente conserva per 5 anni il diritto alla riammissione in servizio a tempo pieno, salvo particolari indisponibilità, con conseguente sospensione e nuova decorrenza dell'anzianità. Come si vede l'entrata in vigore è ampiamente differita nel tempo, così da posticiparne e "trasferirne" ai posteri l'impatto normativo e applicativo.

(News pubblicata su autorizzazione di www.leggiditalia.it)

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