Il praticante che svolge attività presso uno studio professionale senza la documentazione idonea a suffragare che l'attività svolta fosse di pratica professionale - in particolare in mancanza del certificato relativo all'ammissione alla pratica professionale - può essere considerato lavoratore subordinato. E' quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4271 del 22 febbraio 2011 in merito al ricorso di un professionista condannato dai giudici di merito al pagamento delle differenze retributive dovute ad una sua "praticante" riconosciuta lavoratrice subordinata, con inquadramento nel IV livello del CCNL Studi professionali, avendo i giudici d'appello ritenuto la sussistenza delle principali ed esclusive caratteristiche della subordinazione, e in particolare quella della sottoposizione al potere organizzativo e gerarchico del professionista. La Suprema Corte, respingendo il ricorso del professionista, ha precisato che "la Corte d'Appello non ha escluso la sussistenza del praticantato solo per il mancato rilascio del certificato di avvenuta accettazione della pratica, valutando invece, nella ricorrenza di tale incontestata emergenza fattuale, la rilevanza di alcune delle testimonianze assunte e della mancata richiesta dell'attestato di compiuta pratica, e traendo quindi, anche alla luce del complesso dell'istruttoria testimoniale, conclusioni sulla non qualificabilità del rapporto in termini di praticantato". Gli Ermellini evidenziano inoltre che le conclusioni dei giudici d'appello, siccome inerenti ad accertamenti di merito ritenuti coerenti con i dati acquisiti e immuni da vizi logici, risultano intangibili in sede di legittimità.

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