Senza necessità di un ulteriore rinvio degli atti all'amministrazione finanziaria, il giudice tributario deve applicare d'ufficio la sanzione più favorevole al contribuente. A dirlo è la sentenza n. 26263, depositata il 29 dicembre dell'anno appena trascorso, dai giudici della sezione tributaria della Suprema Corte di Cassazione, i quali sono arrivati alla decisione partendo dalla natura del processo tributario. A differenza di quello amministrativo che si caratterizza per essere di annullamento, il processo tributario mira ad invece ad una pronuncia sostitutiva sul merito della controversia
. Accogliendo il quarto motivo di ricorso del contribuente contro l'Agenzia delle Entrate, la Corte ha in particolare affermato che "secondo un principio da tempo consolidato il processo tributario non rientra fra quelli cosiddetti di "impugnazione-merito" in quanto non diretto unicamente all'eliminazione dell'atto o di parte di esso ma ad una pronuncia di merito sostitutiva. Pertanto la C.T.R., dopo aver espresso la necessità, in tema di sanzioni, di applicare la norma più favorevole (ivi compreso l'aspetto della continuazione) intervenuta successivamente alla notifica dell'avviso di accertamento che anche le sanzioni conteneva, non poteva limitarsi ad una tale affermazione di principio, rinviando all'Ufficio per la loro concreta determinazione, ma avrebbe dovuto, proprio in virtù del potere di sostituzione di cui è investita, rideterminare essa stessa le sanzioni in conseguenza della statuizione circa l'applicabilità della norma più favorevole. Compito quest'ultimo peraltro precluso al giudice di legittimità, richiedendo delle valutazioni di merito nono consentite in questa sede".

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