La Suprema Corte con sentenza n. 14617 del 17 giugno 2010 ha confermato la condanna inflitta ad un legale dal Consiglio nazionale forense il quale, dopo aver rinunciato al mandato professionale di un consorzio per la gestione degli acquedotti aveva inviato allo stesso una diffida nella qualità di difensore del Comune in una controversia
per l'affidamento degli impianti e le opere destinate alla distribuzione idrica. Il conflitto tra il nuovo e il vecchio cliente non era solo potenziale. Ed il legale è venuto meno agli obblighi di lealtà e correttezza propri del professionista forense. La Corte ha ritenuto che nei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati la concreta individuazione delle condotte costituenti illecito disciplinare, definite mediante il ricorso a clausole generali, quali mancanze nell'esercizio della professione o fatti non conformi alla dignità ed al decoro professionale, sono rimesse alla valutazione dell'ordine professionale e non consente alla Cassazione di sostituirsi al Consiglio nazionale forense nella enunciazione di ipotesi di illecito, se non nei limiti di ragionevolezza Nel caso di specie il consiglio nazionale aveva accertato e adeguatamente motivato la presenza di un conflitto concreto ed effettivo tra le parti assistite dal legale, in quanto portatori di interessi contrastanti. Sulla base di queste argomentazione la Suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dal legale .
Vedi anche:
- La diffida ad adempiere

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