È stata confermata in Cassazione la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura di censura di un magistrato che aveva arbitrariamente emesso un'ordinanza di allontanamento di un ragazzo pericoloso dalla scuola, privandolo di fatto del suo diritto allo studio e limitando la sua libertà personale senza i necessari presupposti per l'applicazione di tale misura cautelare. In ogni caso, la competenza in riferimento al minore, sarebbe stata del Tribunale per i minori e non della Procura della Repubblica. Con la sentenza
n. 18378, adottata il 7 luglio e depositata il 19 agosto 2009 scorso, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hanno deciso di confermare la sentenza del Csm, che aveva censurato un magistrato che aveva emesso un provvedimento "abnorme e anomalo" in riferimento alla potenziale pericolosità di un portatore di handicap e con disturbi psicotici in assenza di denunce contro il ragazzo. Secondo la ricostruzione della vicenda, il Procuratore della Repubblica di Frosinone, aveva emesso nel 2007 un provvedimento di allontanamento del minore dalla scuola "per episodi di violenza che hanno talvolta posto in pericolo la stessa incolumità dei compagni e degli insegnanti". Nello stesso anno, qualche mese più tardi, il Csm faceva valere la responsabilità del magistrato (per grave violazione di legge determinata da "ignoranza o negligenza inescusabile, con l'adozione di un provvedimento in un caso non consentito dalla legge e conseguente lesione di diritti personali di un minore tutelati dalla Costituzione
, a causa di un errore macroscopico, dovuto a sua grave e inescusabile negligenza") e con una sentenza lo censurava. La Corte, rigettando il ricorso del magistrato ricorrente, ha affermato che "tale inescusabile negligenza - nell'adozione dell'ordinanza - è sfociata in un comportamento oggettivamente arbitrario in danno di un minore portatore di handicap, ne ha leso il diritto allo studio e alla libertà, con un allontanamento coatto dalla scuola, non rientrante tra le prescrizioni inerenti alle attività di studio in fatto interrotte e che avrebbero dovuto garantire la continuazione, giustificabili soltanto come accessorie a provvedimenti cautelari "in materia di libertà personale", non adottate nel caso né adottabili in mancanze di ogni presupposto di fatto e di diritto, ma anche ad opera del magistrato dei minori eventualmente competente (..). Pertanto - conclude la Corte, confermando la decisione del Csm - non è stata sanzionata un'attività ermeneutica del magistrato che neppure nel ricorso a questa Corte individua quali norma avrebbe applicato". In sostanza non vi è stata "nessuna consapevole scelta interpretativa - come si legge dalla sentenza
del Csm - vi è stata nella fattispecie, in mancanza di una norma da applicare, versandosi in un caso di atto anomalo o abnorme (…) essendo al di fuori sistema ordinamentale".

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