La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Sent. n. 6836/2009) ha stabilito che è valido l'accertamento fiscale basato sulle dichiarazioni, concordanti, rilasciate dai testimoni alla guardia di finanza che denunciano i versamenti in nero del contribuente. Gli Ermellini hanno quindi stabilito che "in tema di accertamento delle imposte, l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica all'accesso domiciliare, prescritta in materia di IVA dall'art. 52 del d.p.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 33 del d.p.R. 29 settembre 1973, n. 600) mira a conciliare la rilevanza che la Carta Costituzionale attribuisce alla tutela del domicilio di ogni cittadino della Repubblica, la cui inviolabilità è espressamente riconosciuta dall'art. 14 co. 1 Cost. con l'esigenza dell'acquisizione degli elementi di riscontro di una supposta evasione fiscale, al fine di evitarne l'occultamento o la distruzione".
Hanno quindi aggiunto che "ciò comporta che il provvedimento di autorizzazione debba necessariamente trovare causa e giustificazione nell'esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione va effettuata 'ex ante' con prudente apprezzamento, e sia, pur concisamente, motivato. E ciò, a maggior ragione, quando si tratti del domicilio di un soggetto che, rispetto al fine di acquisizione degli elementi probatori dell'evasione fiscale contemplato dal provvedimento autorizzativo, non sia il soggetto attivo delle presunte violazioni ma debba essere invece ritenuto un mero terzo".
Infine la Corte ha aggiunto che "le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di statuire che 'il giudice tributario, in sede di impugnazione dell'atto impositivo basato sui libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 52 del d.p.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto - resto applicabile anche ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall'art. 33 del d.p.R. 29 settembre 1973, n. 600 - ha, il potere - dovere […], oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione - sia pure concisa o 'per relationem' mediante receperimento dei rilievi dell'organo richiedente - circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell'illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l'ordinamento attribuisca valenza indiziaria. Pertanto, nell'esercizio di tale compito, il giudice deve negare la legittimità dell'autorizzazione emessa esclusivamente sulla scorta di informazioni anonime, valutando conseguenzialmente il fondamento della pretesa fiscale senza tenere conto di quelle prove".

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