Benché non costituisca un abuso d'ufficio, deve considerarsi illegittima la requisizione di case popolari per gli sfrattati. E' quanto emerge da una sentenza della Corte di Cassazione: la numero 38259 del 16 ottobre scorso. In una nota il Presidente della Suprema Corte, Vincenzo Carbone, esclude "che sussista l'elemento soggettivo del delitto di abuso d'ufficio nell'azione con la quale il presidente di un municipio abbia requisito case di abitazione per fare fronte alle esigenze abitative di famiglie colpite da un provvedimento di sfratto, riconoscendo che il perseuimento di una soluzione abitativa per le famiglie prive di casa risponde a una esigenza sociale di valore primario". Ciò nonostante il provvedimento risulta illegittimo "anche se adottato dal sindaco, in quanto la competenza spetta al prefetto e la situazione dei soggetti sfrattati non riveste il carattere di eccezionalita' ed imprevedibilita' che giustifica i provvedimenti di requisizione che possono adottarsi solo per la salvaguardia di un interesse pubblico
che altrimenti potrebbe essere irrimediabilmente compromessa". Del resto la stessa Corte di Cassazoine con una sentenza del 9 ottobre scorso (n.37139) aveva già stabilito che lo stato di bisogno non giustifica l'occupazione di un alloggio di proprieta' dell'Istituto Autonomo Case Popolari giacché "rispondendo all'attivita' di edilizia pubblica alla funzione sociale di tutelare il bene primario dell'abitazione per chi si trovi in condizioni di specifico e definito disagio, il cardine della relativa disciplina poggia sull'inderogabile principio che l'assegnazione degli alloggi deve avvenire secondo criteri prefissati dagli organismi pubblici e da questi verificati attraverso idonee procedure, sicche' nessuna rilevanza puo' avere l'arbitrio del singolo, pur bisognoso". Neppure una eventuale acquiescenza dell'ente proprietario può escludere l'arbitrarietà dell'occupazione.

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