Una disamina sulla nota vicenda che ha coinvolto minori e sui quali il futuro è incerto


La c.d. "Casa del Bosco" costituisce un paradigma emblematico di violenza domestica a matrice relazionale, in cui l'elemento spaziale assume una funzione criminodinamica determinante. L'isolamento abitativo, lungi dal configurarsi quale circostanza meramente neutra, opera come meccanismo di rafforzamento del dominio psicologico, incidendo direttamente sulla libertà morale della vittima e sulla sua capacità di autodeterminazione.

Ma cosa accade dal punto di vista giurisprudenziale"

La giurisprudenza di legittimità ha progressivamente affrancato il delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. da una concezione fisico-naturalistica della violenza, riconoscendo rilevanza penale a condotte omissive o manipolative idonee a instaurare un regime di vita degradante e oppressivo (Cass. pen., sez. VI, n. 10959/2016; Cass. pen., sez. VI, n. 32156/2021). In tale prospettiva, l'isolamento relazionale forzato integra una forma di violenza impropria, ove la coercizione si realizza attraverso la progressiva destrutturazione dell'identità della vittima.

La Suprema Corte ha altresì chiarito che la libertà morale, bene giuridico tutelato in modo trasversale dall'ordinamento, può essere lesa anche in assenza di costrizione fisica, mediante un controllo psicologico reiterato e sistematico (Cass. pen., sez. V, n. 1786/2020). Ne discende la possibile concorrenza con le fattispecie di violenza privata (art. 610 c.p.) e atti persecutori (art. 612-bis c.p.), qualora l'isolamento produca uno stato di soggezione stabile e perdurante.

Sul piano psico-forense, tali dinamiche generano fenomeni di trauma bonding e di learned helplessness, con conseguente irrilevanza giuridica dell'apparente consenso della vittima, in quanto viziato da una pressione coercitiva continua (Cass. pen., sez. III, n. 37584/2019). La Corte EDU ha ribadito l'obbligo degli Stati di adottare un approccio sostanzialistico alla violenza domestica, valorizzando la dimensione relazionale e continuativa dell'abuso (CEDU, Talpis c. Italia, 2017), in linea con i principi della Convenzione di Istanbul (L. n. 77/2013).

La "Casa del Bosco" si configura, pertanto, quale spazio giuridicamente rilevante di esercizio del potere coercitivo, imponendo all'interprete una ricostruzione unitaria della condotta e un approccio probatorio interdisciplinare, capace di cogliere la violenza nella sua dimensione latente e processuale.


Dott. Alessandro Pagliuca

Avvocato abilitato all'esercizio della professione forense

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