Negli ultimi anni, l'intelligenza artificiale (AI) ha rapidamente permeato numerosi settori della vita quotidiana e professionale. Essa si manifesta in molteplici forme: dai veicoli a guida autonoma agli assistenti virtuali presenti negli smartphone e nelle abitazioni, dai software decisionali impiegati in ambito sanitario ai sistemi di gestione finanziaria e di trading automatizzato, fino ad arrivare a strumenti di intelligenza predittiva utilizzati nella pubblica amministrazione o nel settore assicurativo. Questa pervasività crescente rende evidente come l'AI non sia più un semplice strumento di supporto, ma un soggetto capace di interagire in maniera autonoma con il mondo reale, assumendo decisioni complesse che possono avere conseguenze materiali rilevanti.
Con questa diffusione emerge un problema giuridico cruciale e ancora largamente irrisolto: chi risponde dei danni causati da sistemi autonomi e algoritmi intelligenti" L'ordinamento giuridico attuale, basato su principi consolidati del diritto civile, fonda la responsabilità sul concetto di fatto illecito previsto dall'articolo 2043 c.c., secondo cui chiunque cagiona un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo, purché sussista un elemento soggettivo, ossia dolo o colpa. Tuttavia, l'AI introduce una novità sostanziale: il "fatto" che produce il danno non è direttamente imputabile a un soggetto umano, ma a un sistema informatico dotato di autonomia decisionale. Questo spostamento dell'elemento causale pone una serie di questioni delicate e complesse, che il diritto tradizionale non è pienamente attrezzato a gestire.
Si pone, innanzitutto, la questione dell'individuazione del soggetto responsabile. È possibile imputare la responsabilità al programmatore che ha concepito l'algoritmo" Oppure al produttore o distributore del software" E ancora, l'utilizzatore finale del sistema, che ne sceglie l'impiego, può essere considerato responsabile in caso di danni" La risposta non è semplice, perché ciascuno di questi soggetti svolge un ruolo differente nella catena causale, e il comportamento dell'AI può non essere prevedibile né direttamente controllabile. Per esempio, un algoritmo di guida autonoma potrebbe deviare improvvisamente per evitare un ostacolo, causando però un incidente. In questo caso, il programmatore potrebbe aver rispettato tutte le regole tecniche, il produttore aver garantito un sistema funzionante, e l'utilizzatore aver seguito le istruzioni; tuttavia, il danno si verifica comunque.
Un'analisi attenta del quadro normativo italiano e comparato rivela l'insufficienza degli strumenti tradizionali. La responsabilità contrattuale, fondata sull'inadempimento di obblighi derivanti da un rapporto contrattuale, potrebbe operare solo se sussiste un vincolo diretto tra il danneggiato e il produttore o fornitore di AI. Tuttavia, in molti casi, il danneggiato è un soggetto terzo, che non ha stipulato alcun contratto con il produttore o il distributore del software. La responsabilità extracontrattuale, basata sul principio del danno ingiusto, incontra invece il problema dell'imputazione: i sistemi autonomi non possiedono coscienza, intenzionalità o capacità di colpa, e l'elemento soggettivo tradizionale sembra dunque inapplicabile.
In ambito dottrinale e giurisprudenziale si stanno delineando alcune linee interpretative innovative. Una delle soluzioni più discusse è quella della responsabilità oggettiva, assimilabile a quella prevista per i prodotti difettosi dal Codice del Consumo o dall'articolo 2050 c.c. In questa prospettiva, il produttore, il distributore o talvolta l'utilizzatore risponderebbero dei danni indipendentemente dalla colpa, sulla base del principio che chi trae vantaggio dall'impiego di sistemi autonomi debba farsi carico dei rischi intrinseci. Questo modello presenta vantaggi evidenti: incentiva l'adozione di standard di sicurezza più elevati, promuove controlli rigorosi e offre tutela immediata al danneggiato, senza la necessità di dimostrare la colpa del soggetto umano. Tuttavia, introduce anche sfide pratiche, come la definizione di "difetto" in contesti di AI autonoma, e la valutazione della responsabilità quando più algoritmi interagiscono tra loro in modo imprevedibile.
Un'alternativa interessante consiste nell'istituzione di modelli assicurativi obbligatori, analoghi a quelli già previsti per autoveicoli, professionisti sanitari o imprese ad alto rischio. In tal modo, il rischio derivante dall'uso di sistemi intelligenti verrebbe trasferito su fondi assicurativi specifici, garantendo la copertura dei danni anche nei casi in cui non sia possibile attribuire responsabilità diretta a un soggetto umano. Tale approccio combinerebbe la tutela del danneggiato con la possibilità per le aziende di innovare senza timore di responsabilità eccessive, pur richiedendo una regolamentazione dettagliata per definire limiti, franchigie e categorie di rischio.
Accanto agli aspetti di responsabilità civile, l'adozione dell'AI solleva anche questioni di politica legislativa e di diritto pubblico. Il legislatore dovrà bilanciare esigenze complesse: da un lato, la certezza del diritto e la protezione dei cittadini da danni causati da sistemi autonomi; dall'altro, la promozione dello sviluppo tecnologico e dell'innovazione industriale. Non è escluso che si giunga a una disciplina ad hoc, con regole specifiche di responsabilità per l'AI, integrando principi tradizionali del diritto civile con nuove categorie adattate alla realtà dei sistemi autonomi. Alcuni progetti di legge a livello europeo e nazionale stanno già esplorando questa strada, ipotizzando obblighi di trasparenza, protocolli di sicurezza e registri di algoritmi, così da consentire una tracciabilità dei processi decisionali e una più chiara attribuzione delle responsabilità.
Un ulteriore aspetto rilevante riguarda la responsabilità penale. Sebbene l'AI non possa commettere reati in senso tradizionale, l'uso di algoritmi autonomi potrebbe comportare conseguenze rilevanti anche sul piano penale, ad esempio in caso di incidenti mortali o violazioni della sicurezza pubblica. In tali circostanze, il legislatore e la giurisprudenza dovranno determinare se e come imputare la condotta a soggetti umani, valutando la prevedibilità dell'azione dell'AI e il grado di controllo esercitato dagli operatori.
In conclusione, la diffusione dell'intelligenza artificiale rappresenta una sfida senza precedenti per il diritto civile e per l'intero sistema giuridico. Gli operatori legali devono essere pronti a confrontarsi con scenari complessi, in cui l'innovazione tecnologica supera le categorie tradizionali di responsabilità. Solo un intervento normativo tempestivo e mirato potrà garantire un equilibrio tra sviluppo tecnologico e tutela dei diritti dei cittadini, promuovendo al contempo un uso sicuro e responsabile dei sistemi autonomi. La strada verso una regolamentazione chiara e coerente appare ancora lunga, ma è imprescindibile per garantire che l'AI diventi uno strumento al servizio della società, senza lasciare spazio a vuoti di responsabilità o rischi ingiustificati per i soggetti più vulnerabili.
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