Quando si pensa al conflitto, la prima cosa che viene in mente è lo scontro: tra persone, opinioni, interessi, valori. Dietro ogni contrasto vi è tuttavia qualcosa di più silenzioso e profondo: un processo cognitivo che si attiva dentro di noi ogni qualvolta dobbiamo scegliere, decidere, resistere a un impulso o interpretare una situazione ambigua.
Il CAE
Il conflitto non solo mette alla prova il nostro sistema cognitivo, lo modifica. Il cervello, infatti, ha una capacità straordinaria: impara dalle controversie che affrontiamo, regolando la propria strategia per gestire meglio quelle future. Questo meccanismo prende il nome di Conflict Adaptation Effect (CAE), noto anche come Gratton effect o congruency sequence effect. Descrive un fenomeno ben documentato in psicologia cognitiva: dopo aver incontrato uno stimolo che induce conflitto, il cervello aggiusta automaticamente la propria strategia per affrontarlo nuovamente in modo più efficiente. In altre parole, il sistema cognitivo regola in tempo reale il livello di attenzione e controllo sulla base dell'esperienza immediatamente precedente. L'effetto fu osservato per la prima volta da Gratton, Coles e Donchin nel 1992, in un esperimento pubblicato sul Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance. I ricercatori dimostrarono che, dopo un compito in cui due informazioni competono tra loro, i tempi di reazione migliorano rispetto a quando il compito precedente era privo di interferenze. Questa osservazione fu successivamente inclusa nella Conflict Monitoring Theory, sviluppata da Botvinick e colleghi nel 2001, che spiega come il cervello rilevi i conflitti e regoli in tempo reale il livello di controllo cognitivo. In pratica, ogni volta che si presenta una situazione in cui due informazioni contrastanti competono tra loro, il cervello registra questa interferenza e si prepara meglio per la volta successiva.
Il CAE nasce da un'osservazione precisa: dopo aver affrontato un conflitto, il cervello diventa più efficiente nel gestire situazioni simili . Questo non avviene casualmente, ma grazie a un monitoraggio attivo del conflitto da parte di aree cerebrali come la corteccia cingolata anteriore (ACC), che segnala la necessità di aumentare il controllo cognitivo. Secondo la Conflict Monitoring Theory, il cervello utilizza il conflitto come un segnale: se due informazioni competono, il sistema riconosce che serve più attenzione. La corteccia prefrontale dorsolaterale riceve il segnale dall'ACC e aumenta temporaneamente il livello di controllo. Si crea così un ciclo continuo: conflitto " rilevazione " regolazione " riduzione futura dell'interferenza.Questa intuizione è cruciale per capire perché, pur trovandoci in situazioni difficili, non sempre ci blocchiamo. Al contrario, il cervello impara implicitamente a stare in tensione e a regolare le proprie risorse cognitive per affrontare meglio il futuro. Per comprendere meglio il funzionamento del CAE, i ricercatori utilizzano spesso tre paradigmi sperimentali, ognuno dei quali induce un tipo diverso di interferenza cognitiva:
Il compito di Stroop. Ai partecipanti viene chiesto di identificare il colore in cui una parola è stampata, ignorandone il significato. Ad esempio, la parola "rosso" appare scritta in verde.
Qui si genera un conflitto tra processo automatico, la lettura della parola, e processo controllato, l'identificazione del colore grafico. Pur riuscendo generalmente a rispondere correttamente, il tempo di reazione aumenta rispetto ai casi in cui non vi è conflitto (parola e colore coincidono). Questo ritardo, noto come effetto Stroop, indica che lo stimolo distraente non viene mai completamente ignorato.Il compito di Simon. Si richiede una risposta spaziale (es. premere a destra) in base a uno stimolo visivo (es. un cerchio rosso), indipendentemente dalla sua posizione effettiva. Ad esempio, si deve premere a destra se il cerchio è rosso, anche se appare sul lato sinistro dello schermo. Si genera un conflitto tra la posizione fisica dello stimolo e la risposta richiesta. Anche in questo caso, il cervello deve sovrascrivere una tendenza automatica (rispondere dove appare lo stimolo) per seguire la regola del compito. Questo conflitto produce un aumento nei tempi di risposta e negli errori, soprattutto quando le informazioni sono incompatibili.
Il compito Flanker: si deve indicare la direzione di una freccia centrale, ignorando quelle che la circondano. Ad esempio, bisogna indicare che la freccia centrale punta a destra, anche se quelle laterali puntano a sinistra. Il conflitto nasce tra l'informazione rilevante al centro e gli stimoli periferici irrilevanti ma forti dal punto di vista percettivo. Il soggetto deve focalizzarsi solo sulla freccia centrale, filtrando quelle laterali. Il conflitto rallenta la risposta e aumenta la probabilità di errore, specialmente quando gli stimoli periferici contrastano con quelli centrali.
In tutti e tre i casi, il cervello mostra una maggiore efficienza nel secondo incontro con lo stesso tipo di interferenza, evidenziando una forma di apprendimento implicito .
Non si "impara" tutto
Una caratteristica fondamentale del CAE è la sua specificità. Funziona bene solo quando lo stesso tipo di conflitto si ripete consecutivamente, ad esempio due compiti Simon uno dopo l'altro o due compiti Flanker. Se invece si passa da un conflitto di tipo Stroop a uno Simon, il vantaggio del CAE si riduce o scompare. Ciò suggerisce che il cervello non generalizza automaticamente le strategie di risoluzione del conflitto, ma le apprende in modo mirato, adattandosi a quel particolare tipo di interferenza. Questo aspetto ha importanti implicazioni pratiche, anche nel contesto della mediazione, dove si passa frequentemente da un tipo di controversia all'altro: logistico, emotivo, relazionale, valoriale... Ogni volta che si cambia registro, il sistema cognitivo deve riadattare le proprie strategie, consumando energia mentale preziosa. È il cosiddetto costo di switch cognitivo, un effetto che si somma al normale impegno richiesto dall'elaborazione.
Il ruolo delle emozioni
Il CAE non riguarda solo la cognizione; coinvolge anche stati emotivi e motivazionali. Studi hanno mostrato che emozioni negative come frustrazione o tristezza possono potenziare l'adattamento, aumentando il livello di controllo cognitivo attivato. Alcune persone sembrano più sensibili ai segnali interni di contrasto e riescono a interpretarli meglio, risultando quindi più capaci di adattarsi rapidamente. Questo significa che il "blocco" apparente di una parte in mediazione può derivare non da rigidità, ma da fatica cognitiva o carico emotivo. Ancora più importante, il cervello non mantiene il massimo livello di controllo costantemente. Lo attiva solo quando necessario , per risparmiare energie mentali. Questo equilibrio tra efficienza e controllo è un altro motivo per cui il CAE è così rilevante: mostra che il cervello cerca sempre di fare di più con meno, adattandosi intelligentemente alle situazioni.
Comprendere come il cervello gestisce il conflitto può migliorare la qualità degli interventi nei contesti relazionali e negoziali. Riconoscere i segnali di affaticamento cognitivo: difficoltà a seguire il discorso, risposte poco coerenti, rallentamenti nell'esposizione. Non sempre si tratta di resistenza: potrebbe essere semplice esaurimento mentale. Preparare le parti al passaggio tra argomenti differenti, annunciando in anticipo i cambi di registro permette al cervello di anticipare il cambio di strategia, riducendo lo stress cognitivo. Strutturare l'incontro in base alla coerenza tematica, evitando salti improvvisi tra tipi di contrasto mantiene il dialogo più fluido e produttivo. Introdurre pause strategiche, sintesi visive e domande guida aiuta a scaricare la tensione e facilita l'elaborazione collaborativa.
Conclusione
Il conflitto non è solo un ostacolo, ma anche un'occasione di apprendimento. Il cervello registra, interpreta e si modifica, cercando di andare oltre. In mediazione, questa intuizione può fare la differenza: comprendere che il contrasto non è statico, ma genera cambiamenti interni, permette di accompagnare le parti con maggiore consapevolezza e delicatezza. A volte, è proprio il conflitto a insegnarci come evitarlo la prossima volta.
dott.ssa Luisa Claudia Tessore
Note bibliografiche
Wang, T. & others (2021) The neural network underlying individual differences in conflict adaptation effect. Biological Psychology, Volume 164, 108150
Botvinick, M. & others (2001) Conflict monitoring and cognitive control. Psychol. Rev. 108, 624-652
Botvinick, M. & others (2004) Conflict monitoring and anterior cingulate cortex: an update. Trends Cogn. Sci. 8, 539-546
Desender, K. & others (2014) Feeling the conflict: the crucial role of conflict experience in adaptation. Psychol. Sci. 25, 675-683
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