Dalla funzione identificativa del nome ai limiti costituzionali sui titoli nobiliari: analisi sistematica di giurisprudenza costituzionale e civile

Cognomizzazione di un predicato nobiliare

La possibilità di ottenere la cognomizzazione di un predicato nobiliare rappresenta una delle tematiche più singolari e complesse del diritto italiano, in cui si intrecciano princìpi costituzionali, identità personale e vincoli storici. Pur in presenza del divieto costituzionale di riconoscere i titoli nobiliari, l'ordinamento consente, in casi ben delimitati, che il predicato territoriale o onorifico connesso a un titolo nobiliare storico possa essere acquisito come parte del cognome, in funzione identificativa e non più nobiliare (art. XIV disposizioni transitorie e finali della Costituzione).

La riflessione giuridica su tale fenomeno si è sviluppata in un contesto segnato da esigenze di bilanciamento: da un lato, il principio di uguaglianza sostanziale e il rifiuto di ogni forma di privilegio derivante dalla nascita; dall'altro, la tutela dell'identità personale e del diritto al nome quale espressione della continuità familiare, storica e sociale (art. 2 Cost.; art. 6 c.c.).

In tale prospettiva, la Corte costituzionale ha affermato che, sebbene i titoli nobiliari siano giuridicamente irrilevanti, il predicato ad essi associato può assumere un valore giuridico autonomo, in quanto parte del nome, purché sia stato oggetto di riconoscimento statale prima del 1° gennaio 1948 e risulti concesso prima del 28 ottobre 1922 (Corte cost., sent. n. 101/1967). La Corte di cassazione ha progressivamente riconosciuto che il predicato può diventare parte del cognome, assumendo così una funzione identificativa in senso civilistico, distinta dalla precedente rilevanza nobiliare (Cass. civ., sez. I, sent. n. 10936/1997; Cass. n. 8955/2024).

Alla luce di tali premesse, l'analisi della giurisprudenza costituzionale e civile consente di ricostruire un sistema coerente di regole, limiti e criteri interpretativi per comprendere quando e come sia giuridicamente ammissibile la cognomizzazione del predicato nobiliare, in un quadro normativo che riflette la tensione tra memoria storica e valori repubblicani.

Quadro normativo e funzione identificativa del predicato nobiliare

Il fondamento giuridico della cognomizzazione del predicato nobiliare si rinviene, anzitutto, nell'articolo 6 del codice civile, che tutela il diritto al nome quale diritto della personalità, soggetto a protezione giurisdizionale contro usurpazioni, contestazioni o indebite interferenze. Il nome, inteso nella sua accezione completa comprensiva anche del cognome, è espressione dell'identità individuale e familiare della persona. Pertanto esso è tutelato anche a livello costituzionale dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, in quanto elemento essenziale della dignità personale e del principio di uguaglianza. In tale contesto si colloca la possibilità, in casi rigorosamente delimitati, di considerare il predicato nobiliare come parte del cognome, non già per attribuire un titolo, ma per valorizzare la funzione identificativa, storica e familiare che quel predicato può assumere (Cass. civ., sez. I, sent. n. 10936/1997).

La base costituzionale del divieto di riconoscere i titoli nobiliari è contenuta nella XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione, la quale stabilisce che "i titoli nobiliari non sono riconosciuti", aggiungendo però che "i predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome". L'ordinamento repubblicano, dunque, rifiuta la dimensione gerarchica del titolo nobiliare, ma riconosce al predicato - se storicamente attribuito in epoca monarchica e previamente riconosciuto dallo Stato - la possibilità di essere integrato nel cognome, in quanto segno di identificazione personale e familiare, privo di valenza onorifica (Corte cost., sent. n. 101/1967).

La funzione del predicato viene quindi ridefinita in termini moderni: da simbolo di rango e privilegio sociale, esso diviene elemento accessorio del nome, tutelabile ai sensi dell'art. 6 c.c., purché in presenza dei requisiti storici richiesti. Il suo valore giuridico non è più fondato sulla dignità nobiliare, ma sull'identificazione soggettiva di chi ne chiede la cognomizzazione, in conformità ai princìpi personalistici dell'ordinamento.

Presupposti per la cognomizzazione e procedimenti previsti

La cognomizzazione di un predicato nobiliare è ammessa solo al ricorrere di presupposti giuridici rigorosi, fissati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità. In primo luogo, il titolo nobiliare cui si riferisce il predicato deve essere stato concesso anteriormente al 28 ottobre 1922, data simbolica che segna l'inizio del regime fascista, e deve essere stato riconosciuto dallo Stato italiano prima dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, cioè entro il 31 dicembre 1947. L'eventuale riconoscimento successivo, ancorché fondato su titoli anteriori, è considerato privo di effetti ai fini della cognomizzazione (Corte cost., sent. n. 101/1967; Cass. civ., sez. I, ord. n. 8955/2024). A ciò si aggiunge il requisito della discendenza in linea retta dal soggetto al quale fu riconosciuto il titolo e il predicato, nonché la dimostrazione del valore identificativo assunto dal predicato nella storia familiare, anche attraverso un uso prolungato o documentato (Cass. civ., sez. I, sent. n. 10936/1997).

Quanto alle modalità procedurali, l'ordinamento contempla tre diversi percorsi. Il principale è il ricorso ordinario al Tribunale civile nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio Araldico, con notifica obbligatoria anche al Pubblico Ministero. Si tratta di un'azione volta al riconoscimento del diritto soggettivo alla cognomizzazione quale elemento del nome, fondata su documentazione genealogica e storica che deve essere rigorosamente istruita. In alternativa, solo in presenza di un errore materiale o di omissione in un atto di stato civile, è possibile presentare ricorso per rettifica ai sensi degli artt. 95 e ss. del D.P.R. 396/2000, purché il predicato risulti già cognomizzato da un ascendente diretto. In via assolutamente eccezionale, è infine ammessa la procedura amministrativa presso la Prefettura, prevista dall'art. 89 del medesimo D.P.R., quando il predicato risulti storicamente presente nel cognome di un familiare e si intenda conservarlo per continuità familiare (circ. Min. Interno n. 10/2008). La varietà dei presupposti e la complessità delle implicazioni giuridiche rendono evidente come una adeguata assistenza legale specializzata sia necessaria sin dalla fase di valutazione della fattibilità e della scelta del procedimento, al fine di evitare errori che possano determinare l'inammissibilità o il rigetto dell'istanza. Si tratta di procedimenti che possono essere seguiti telematicamente o documentalmente.

L'elaborazione della Corte costituzionale e della Corte di Cassazione

Il contributo della Corte costituzionale alla definizione del regime giuridico della cognomizzazione è racchiuso nella storica sentenza n. 101 dell'8 luglio 1967, che ha chiarito il significato della XIV disposizione transitoria e finale della Costituzione. Secondo la Corte, i titoli nobiliari non sono più riconosciuti né producibili nell'ordinamento repubblicano, ma i predicati ad essi associati, se concessi prima del 28 ottobre 1922 e riconosciuti dallo Stato italiano prima del 1° gennaio 1948, possono assumere rilievo giuridico solo come parte del nome, in quanto elementi di identificazione personale e familiare. La funzione originaria di distinzione sociale viene così privata di ogni efficacia, ma la nuova valenza civilistica del predicato, come espressione dell'identità, è riconosciuta e tutelata, purché conforme ai princìpi di eguaglianza e dignità personale (Corte cost., sent. n. 101/1967).

La giurisprudenza di legittimità ha recepito e sviluppato tale impostazione. In particolare, con la sentenza n. 936 del 24 marzo 1969, la Corte di cassazione ha riconosciuto che il predicato può essere parte integrante del cognome, se storicamente attribuito e riconosciuto nei limiti temporali indicati dalla Costituzione. Successivamente, con la sentenza n. 10936 del 14 novembre 1997, è stato chiarito che il predicato cognomizzato rientra nella sfera di tutela dell'art. 6 c.c., al pari del cognome ordinario. Infatti la sua valenza deve essere letta in coerenza con i valori costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., cioè come espressione di identità personale e non come segno di distinzione sociale. La sentenza n. 24448 del 7 dicembre 2015 ha poi confermato il principio per cui il predicato, una volta cognomizzato, si trasmette secondo le ordinarie regole in materia di cognome, dal momento che può essere oggetto di protezione nei confronti di indebite appropriazioni da parte di terzi.

L'ordinanza della Cassazione n. 8955 del 4 aprile 2024 ha ulteriormente precisato i presupposti della cognomizzazione, sottolineando che il riconoscimento da parte dello Stato non si può confondere con la semplice concessione del titolo: la prima deve essere comprovata da atti formali (come Regie Lettere Patenti o decreti ministeriali), e deve collocarsi entro il termine del 1947. La Corte ha inoltre ribadito l'importanza della discendenza in linea retta, nonché la necessità che il predicato non sia idoneo a generare confusione, a ledere l'interesse pubblico o a reintrodurre surrettiziamente elementi di rango. L'orientamento più recente conferma dunque una lettura rigorosa ma coerente con i valori dell'ordinamento, in cui la memoria storica è accolta solo quando assume il volto della continuità identitaria e non del privilegio.

Questioni aperte e prospettive interpretative

Nonostante il consolidamento di un orientamento giurisprudenziale rigoroso in tema di cognomizzazione, la materia continua a presentare profili problematici che impongono riflessioni interpretative ulteriori. Un primo punto controverso riguarda il ruolo dell'interesse legittimo all'identità personale: sebbene la giurisprudenza lo abbia riconosciuto come elemento centrale per giustificare l'inserimento del predicato nel cognome (Cass. civ., sez. I, sent. n. 10936/1997), rimane aperta la questione su quali elementi fattuali e storici siano idonei a concretizzarlo e con quale grado di intensità. In particolare, l'uso pregresso del predicato da parte della famiglia può essere ritenuto un indice di identificazione sufficiente, ma la giurisprudenza non ha mai chiarito se tale uso debba essere attuale o se sia sufficiente una rilevanza storica ormai cessata (Cass. civ., sez. I, ord. n. 8955/2024).

Ulteriore nodo interpretativo concerne il rapporto tra prassi amministrativa e tutela giurisdizionale. La Circolare n. 10/2008 del Ministero dell'Interno ha riconosciuto la possibilità di chiedere l'aggiunta di un predicato già cognomizzato da un parente per conservarne la continuità familiare, ma ha anche ribadito l'incompetenza dell'amministrazione a riconoscere predicati ex novo. La procedura amministrativa, dunque, è limitata ai casi eccezionali di continuità, mentre la regola generale resta quella dell'accesso alla via giudiziaria. Tuttavia, la linea di confine tra modifica del cognome e nuova cognomizzazione può risultare incerta, con conseguente rischio di conflitti di competenza o rigetti per errata qualificazione della domanda.

Infine, si segnala l'assenza di una disciplina legislativa organica in materia. L'attuale sistema si fonda su norme costituzionali, disposizioni del codice civile, regolamenti anagrafici e interpretazioni giurisprudenziali. Questo impianto frammentario costringe il giudice a operare in un contesto privo di tipizzazione normativa e ad ancorare la decisione a un delicato bilanciamento tra princìpi costituzionali, dati storici e identità soggettiva. È auspicabile, in prospettiva, un intervento legislativo che colmi le lacune interpretative e distingua in modo netto tra diritto all'identità e reviviscenza di titoli incompatibili con i valori repubblicani.

Conclusioni

La giurisprudenza costituzionale, civile e amministrativa ha progressivamente delineato un sistema coerente, seppur rigoroso, per la cognomizzazione del predicato nobiliare, fondato sulla tutela dell'identità personale e sulla compatibilità con i principi repubblicani. I requisiti sostanziali - storicità, riconoscimento entro il 1947 e discendenza diretta - e la distinzione tra le diverse vie procedurali impongono una valutazione giuridica attenta. In assenza di una disciplina normativa organica, la corretta impostazione da parte di un avvocato esperto in cognomizzazione assume un ruolo decisivo per evitare inammissibilità o rigetti e per tutelare efficacemente il diritto al nome quale espressione della propria storia familiare.


A cura dell'avv. Gianluca Piemonte, esperto in cognomizzazione del predicato nobiliare (info@studiopiemonte.com)

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Gianluca Piemonte
Avvocato esperto in diritto civile e internazionale.
Fondatore dello Studio Legale Piemonte (https://studiopiemonte.com/).
Conosciuto per il focus sulla tutela dei diritti umani davanti alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) e per i diritti legati alla disforia di genere nel cambio sesso.
Dal 2012 coordina lo staff legale di TuoRisarcimento (https://tuorisarcimento.it/) per voli in ritardo, cancellati e in overbooking.
Legal blogger per Matrilex (https://matrilex.it/).
Svolge attività di legal advisor per società straniere con sede in Europa e Russia.

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