La Cassazione ricorda che l'allegazione di un comportamento negligente incombe sul creditore della prestazione di facere

Accordo verbale tra avvocato e cliente

Nel caso in esame, l'avvocato aveva ingiunto alla propria cliente il pagamento dell'onorario allo stesso spettante in ordine ai precedenti accordi incorsi tra le parti.

Rispetto a tale richiesta la cliente si era opposta chiedendo, per quanto qui rileva, l'accertamento del fatto che tra le parti era intercorso un (mero) accordo verbale per la determinazione del compenso.

Il Giudice di secondo grado aveva confermato la decisione del Tribunale con la quale veniva rigettata l'opposizione.

La Corte d'appello aveva, in particolare, messo in rilievo che "trattandosi di fatti avvenuti nell'autunno del 2005 e quindi prima della modifica dell'art. 2233 c.c. che ha reso necessaria la prova scritta ad substantiam del contratto di patrocinio, i rapporti tra le parti potevano essere stati validamente regolati con accordo verbale". Ad avviso della Corte d'appello, tuttavia, l'accordo non era stato provato "essendo inattendibile la testimonianza della sorella e limitandosi gli altri testi a confermare che (l'avvocato) aveva rispettato l'impegno di tenere indenne il domiciliatario delle spese anticipate e che l'appellante si era impegnata a saldare le competenze dell'avvocato una volta portata a compimento un'operazione finanziaria". Ne conseguiva, pertanto il rigetto delle ragioni della cliente.

Avverso tale decisione, l'assistita aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La prova della condotta negligente dell'avvocato

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6792/2024 (sotto allegata), ha respinto il ricorso proposto, condannando la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio.

Con particolare riguardo alle regole circa la ripartizione dell'onere della prova in relazione al rapporto contrattuale in esame, il Giudice di legittimità ha rilevato come "a fronte dell'eccezione di inadempimento dell'espletamento dell'attività, sarebbe onere del professionista provare l'attività svolta e la corretta applicazione della pertinente tariffa, questione diversa dalla violazione degli obblighi di diligenza da parte del professionista nello svolgimento di attività, di per sé non contestate".

Sul punto, ha evidenziato la Corte, la giurisprudenza di legittimità ritiene costantemente che "il giudizio circa l'(in)adempimento di una prestazione professione si articola naturalmente in due passaggi: il primo riguarda il concreto compimento dell'attività in se stessa; il secondo l'averla compiuta secondo il canone della diligenza professionale prescritta. Né può ipotizzarsi che, secondo le regole dell'onere della prova, incomba al debitore della prestazione di facere dimostrare di avere agito con la prescritta diligenza: stando ai principi del sistema, l'allegazione di un comportamento negligente, secondo quanto espresso appunto dalla proposizione di un'eccezione di inadempimento, come quella in esame, si manifesta per sé come un fatto modificativo del diritto al compenso del creditore, con prova che, in quanto tale, si pone a carico dell'eccipiente ex art. 2697, comma 2, c.c.".

Sulla scorta di tali motivi e per quanto qui rileva, la Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso proposto.

Scarica pdf Cass. n. 6792/2024

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