Per la Cassazione, la registrazione fonografica di una conversazione, svoltasi tra presenti ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, non è riconducibile, anche se realizzata clandestinamente, ad intercettazione


Nel caso in esame, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10079/2024 (sotto allegata), è stata chiamata a pronunciarsi, per quanto qui rileva, in ordine all'utilizzabilità delle dichiarazioni confessorie rese dall'imputato nel corso del colloquio telefonico con la figlia e in sede di espletamento dell'incarico peritale.

Tale utilizzo, a detta dell'imputato, era inammissibile.

Rispetto a tale contestazione la Corte ha rilevato la manifesta infondatezza del motivo d'impugnazione posto che "le intercettazioni regolate dagli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. consistono nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l'intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo".

Posto quanto sopra, la Corte ha affermato che "la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l'autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo".

La Corte ha concluso il proprio esame dichiarando inammissibile il ricorso e condannando il ricorrente alle spese processuali.

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