L'interpretazione delle 'forme di rapina' scomoda la Suprema Corte, la quale chiarisce e riafferma il confine tra la rapina propria e la rapina impropria

Il reato di rapina ex art. 628 c.p.

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Il codice penale tra i delitti contro il patrimonio - all'art. 628 - disciplina il reato di rapina attraverso il seguente costrutto, che al 1° co. recita: "chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500".

Mentre al 2°co. continua: "Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità".

E conclude aggiungendo un elenco di aggravanti speciali con il relativo inasprimento di pena; al n. 1 contempla l'aggravante che si integra quando la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite; come nel caso in disamina.

La fattispecie della rapina rientra - e forse ne è l'esempio 'più classico', tanto da essere elevato ad esempio di scuola - tra i reati complessi.

Reati che si 'compongono di più fatti', più fatti che singolarmente costituiscono di per sé reati autonomi. Fatti illeciti 'singoli' quindi che se 'riuniti', se integrati danno luce ad una diversa fattispecie 'composta'.

La rapina infatti raggruppa in sé, ossia è frutto della fusione, del reato di furto ex art. 624 c.p. e del reato di violenza privata ex art. 610 c.p.; che rispettivamente sono posti a tutela del patrimonio e della persona.

La fattispecie della rapina viene suddivisa in propria ed impropria, forme descritte rispettivamente al 1° e al 2° co. dell'articolo 628 c.p.

Si qualifica come rapina c.d. propria quando la violenza o minaccia è impiegata al momento dello spossessamento; mentre quando la violenza o minaccia vengono impiegate 'immediatamente dopo' lo spossessamento, per assicurarsi il possesso del bene mobile sottratto o l'impunità, si parla di "rapina impropria".

L'interpretazione delle 'forme di rapina' scomoda la Suprema Corte

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Nel caso in esame il ricorrente - condannato per rapina impropria e lesioni - si riteneva estraneo alla rapina ex art. 628/2, n. 1, c.p. addebitatagli, perché non aveva partecipato alla fase dello spossessamento; il non essere stato parte attiva della sottrazione ingiusta del denaro al soggetto passivo, la riteneva una prova di estraneità al fatto illecito stesso, quindi si considerava responsabile solo delle lesioni.

Il ricorrente, riassumendo il caso, aveva partecipato attivamente nella 'seconda frazione' dell'episodio illecito, iniziato da altri due autori (per i quali si procedeva separatamente), che però a differenza del ricorrente erano stati protagonisti nella parte principale della rapina stessa, ovvero avevano sottratto con violenza il bene mobile - denaro, nel taglio di più banconote da 50 euro - alla vittima; e subito dopo avevano consegnato una delle stesse al ricorrente, il quale pur di non perdere il possesso del denaro 'conquistato' tramite il 'passamano' degli altri due autori, si era quindi adoperato attivamente con violenza e minacce infierendo contro la parte lesa per assicurarsi il possesso del denaro. La parte lesa invero non aveva accettato l'abuso e pertanto aveva tentato in ogni modo di recuperare il denaro sottrattogli, rincorrendo i rapinatori. Il tutto senza esito positivo, proprio perché gli autori dell'illecito - e in particolare lo stesso ricorrente - avevano avuto un comportamento violento e minaccioso tanto da far desistere la vittima; che però li conduceva in giudizio.

La difesa si ' arrampicava' su 'scivolosi costrutti' per sottoporre le sue ragioni ai Capitolini; lamentando l'erronea applicazione della legge penale, che nel caso specifico era rappresentata dall'art. 628/2, n. 1 c.p.

Il ricorrente scomodava la Suprema Corte ponendo a fondamento della linea difensiva argomentazioni che si discostavano dai fatti emersi, inconfutabilmente acclarati e conformemente giudicati nelle sentenze di merito.

Praticamente quindi il ricorrente si considerava estraneo al reato di rapina 'solo' perché non autore dello spossessamento del bene mobile altrui. L' essersi adoperato 'immediatamente' dopo aver ricevuto la banconota, per mantenerne il possesso, secondo la sua 'convinzione di pensiero' , non poteva essere ricondotto all'interno dell'art. 628 c.p. 2° co.

La difesa respingeva l'accusa di rapina impropria con argomentazioni sfocate e vaghe: secondo il focus del ricorrente, l'imputazione di rapina impropria era errata perché non poteva coesistere con quella di rapina propria. Sollevando inoltre l'incompatibilità della rapina impropria con la situazione di quasi flagranza che si era instaurata rispetto al reato di rapina commesso precedentemente.

Le argomentazioni a sostegno della linea difensiva si discostavano dai fatti empirici accertati, risultando quindi poco chiare, nebulose.

La sentenza della Cassazione n. 29044/2023

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Per ottenere l'accoglimento del ricorso sottoposto ai Capitolini, il ricorrente difatti si aggrappava, sulla base delle suesposte imprecise 'riproduzioni dei fatti' al principio di diritto che la S.C., pur condividendolo espressamente, non lo ritiene però confacente al caso in oggetto, e pertanto non applicabile.

La Cassazione replica alle pretese fumose del ricorrente riportando fedelmente, tra le argomentazioni in diritto, il principio citato a sua difesa dal ricorrente stesso, e cioè che "è inammissibile il concorso delle due ipotesi di rapina, propria e impropria, le quali si comportano rispetto alla tutela dello stesso bene come mezzi diversi per un medesimo scopo. In conseguenza se si usa violenza o minaccia per sottrarre una cosa mobile altrui e, subito dopo la violenta sottrazione, si usa ancora violenza o minaccia per assicurarsene il possesso o per procurare a sé o ad altri l'impunità, il delitto di rapina resta unico. La condotta violenta o minacciosa rivolta ad assicurare il possesso ovvero a garantire l'impunità manca di una propria tipicità se la sottrazione è già stata violenta, dato che per la rapina impropria è necessario che la sottrazione non sia stata violenta perché viceversa viene a mancare un requisito necessario per la sua configurabilità. Se, però, l'agente commette altri fatti reati per assicurarsi l'impossessamento o l'impunità, al di fuori della condotta tipica della rapina impropria e dopo la rapina propria, essi restano a carico dell'agente medesimo e non vengono assorbiti dalla rapina".

La giurisprudenza a cui si appellava il ricorrente non riguardava però il caso del soggetto terzo che partecipa alla rapina per assicurarsi il bene - sottratto 'immediatamente prima' - e/o l'impunità. Infatti gli Ermellini approfondiscono il ragionamento, richiamando tra gli elementi costitutivi del reato anche l'elemento psicologico, affermando che "non vi è nessuna ragione giuridica per cui un soggetto terzo che intervenga con violenza o minaccia 'immediatamente dopo' la sottrazione della cosa mobile, vuoi nel suo interesse, vuoi nell'interesse altrui, non debba rispondere del reato di rapina impropria, sempre che, ovviamente, la suddetta condotta sia sorretta dal dolo".

La linea spartiacque tra le 'due fattispecie' in esame difatti è il dolo, come ricorda la S.C. che in merito riprende la decisione n. 46412/2014 - chiarendo che "nella rapina impropria, l'elemento soggettivo del reato è costituito, oltre che dal dolo generico consistente nella coscienza e volontà di adoperare violenza o minaccia dopo l'illecita sottrazione della cosa mobile, anche dal 'dolo specifico ', consistente nella finalizzazione della violenza o della minaccia adoperata verso il definitivo impossessamento della cosa o verso l'ottenimento della impunità".

La S.C. inoltre seziona la fattispecie dell'art. 628 c.p. individuando i possibili scenari che possono derivare dall' 'interpretazione' della realtà empirica; ovvero richiama la distinzione di rapina c.d. propria e di quella c.d. impropria non escludendo che anche un terzo soggetto appunto - come nel caso in disamina - possa intervenire anche solo dopo lo spossessamento effettuato da altro/i autore/i; ma ciò deve avvenire 'immediatamente dopo', e 'solo' al fine di assicurarsi l'impunità o il possesso del bene mobile. E comunque il mettere in campo la violenza o la minaccia, anche se non per un tornaconto personale, ma per tutelare altro/i, non esonera quest'ultimo dal rispondere di rapina impropria.

Reato di rapina "impropria"

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Va osservato, pure nel caso in disamina, che i fatti empirici, anche se accertati, difficilmente risultano lineari e decisi in modo da poterli inquadrare perfettamente, e ricondurli pienamente nella scatola delle fattispecie giuridiche confezionate nel codice penale; senza dover comunque proiettare su di essi un'analisi e un'interpretazione per poterli comprendere appieno, e in modo deciso valutarli e classificarli in totale aderenza e in perfetta corrispondenza alla descrizione astratta che ci fornisce la norma giuridica.

I giudici di legittimità chiamati ad interpretare il caso de quo concludono il ragionamento giuridico e - respingendo ogni appiglio scivoloso della difesa, rigettando in toto il ricorso fumoso appunto - riaffermano senza alcuna esitazione il principio di diritto per cui: "colui che - pur non avendo partecipato alla sottrazione della cosa mobile altrui - riceva immediatamente dopo dall'agente il provento della sottrazione e ponga in essere violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità, risponde del reato di rapina impropria sempre che sia consapevole dell'illecita sottrazione del bene consegnatogli".


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