Nei trattamenti estetici il consenso informato del paziente assume connotati ben più stringenti rispetto a quello dovuto per la sottoposizione agli interventi chirurgici necessari alla tutela della salute

Il trattamento "squisitamente estetico"

La vicenda in esame vede protagonista una giovane donna che aveva deciso di sottoporsi ad alcuni trattamenti medici di tipo prettamente estetico. Successivamente all'esecuzione degli stessi, la paziente aveva lamentato diversi danni (patrimoniali e non patrimoniali) prodotti dalla condotta dei medici agenti, in relazione ai quali aveva adito il Tribunale chiedendo il risarcimento delle lesioni subite. Per quanto in particolare qui rileva, la paziente aveva contestato di aver prestato il proprio "consenso per entrambi gli interventi, senza che le venissero fornite informazioni "personalizzate" sulle conseguenze degli interventi e, dunque, senza possibilità che (si potesse determinare) consapevolmente alla loro esecuzione".

Il Giudice di prime cure, ritenendo che il consenso era stato validamente reso e per l'effetto aveva rigettato le richieste risarcitorie formulate dall'attrice, la quale impugnava la sentenza dinanzi alla Corte di Appello di Roma.

Il consenso informato e la lesione del diritto all'autodeterminazione

Avverso la suddetta decisione, la paziente ha proposto appello dinanzi alla Corte territoriale, evidenziando, in particolare, l'errore in cui era incorso il Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto idoneo il consenso dalla stessa prestato, legittimando tal modo l'operato dei medici.

La Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 29 settembre 2023 n. 6208 (sotto allegata), ha accolto alcune delle doglianze prospettate dalla paziente tra cui quella relativa alla lesione del suo diritto all'autodeterminazione.

Il Giudice di secondo grado, dopo aver ripercorso i fatti storici e quelli processuali che avevano caratterizzato il caso in esame, ha in primo luogo osservato che "in relazione agli interventi di cui si discute, di tipo squisitamente estetico, la corretta somministrazione delle informazioni utili e necessarie alla compiuta e adeguata informazione del paziente circa i rischi e conseguenze connesse, per la consapevole autodeterminazione alla sottoposizione ad essi, assume connotati peculiari e ben più stringenti rispetto a quella dovuta per la sottoposizione a interventi chirurgici necessari al fine di preservare l'integrità psicofisica". Invero, ha proseguito la Corte sul punto, secondo "l'impostazione tradizionale, l'attività medico-chirurgica, ancorché pericolosa, è autorizzata dall'ordinamento giuridico, poiché finalizzata alla tutela di un bene fondamentale quale la salute, che è anche interesse generale (art. 32 Cost.)".

Il Giudice di secondo grado ha precisato che il sopracitato art. 32 cost. tutela anche l'attività medica a scopo puramente estetico, poiché "il miglioramento della propria immagine rientra nell'accezione moderna di salute, come stato di benessere psico-fisico".

Posto quanto sopra, il Giudice ha affermato che, nel caso di specie, l'obbligazione del chirurgo deve essere qualificata come obbligazione di mezzi, con la conseguenza che il medico non può rispondere del mancato raggiungimento del risultato che il paziente si attendeva, fermo, tuttavia, l'obbligo del professionista di prospettare al paziente in modo realistico le possibilità esistenti rispetto all'ottenimento del risultato perseguito.

È infatti onere del medico, spiega la Corte, prima di procedere all'espletamento di un'operazione "ottenere un valido consenso del paziente, specie in caso di chirurgia estetica, informando questi dell'effettiva portata dell'intervento, degli effetti conseguibili, delle inevitabili difficoltà, delle eventuali complicazioni, dei prevedibili rischi coinvolgenti probabilità di esito infausto, prospettando, dunque, realisticamente i rischi e le possibili conseguenze pregiudizievoli connessa all'intervento". Invero, posta la natura non necessaria degli interventi di cui trattasi, deve presumersi che il consenso all'intervento non sarebbe stato prestato se la paziente fosse stata correttamente informata dei relativi rischi.

Sulla scorta di quanto sopra rappresentato, la Corte ha concluso il proprio esame ritenendo che vi fosse stata violazione del diritto all'autodeterminazione della paziente, non avendo la stessa prestato valido consenso. Tale circostanza ha reso dunque legittima e fondata la richiesta risarcitoria formulata dall'appellante.

Scarica pdf App. Roma n. 6208/2023

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: