Commento alla sentenza sulla nota vicenda di Grinzane, che ha visto un gioiellere uccidere i rapinatori del proprio negozio

Il caso mediatico

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La drammatica vicenda è nota.

Nel 2021, un gioiellere di Grinzane Cavour (CN) subisce una rapina (ne aveva già subita una qualche anno prima) da parte di tre soggetti. La sequenza dell'azione viene ripresa da telecamere interne ed esterne.

I rapinatori, armati di coltello e pistola, entrano nel negozio, immobilizzano la figlia (nelle immagini si vede distintamente che le mani di quest'ultima vengono legate dietro alla schiena) e la moglie del gioiellere, che in quel momento si trova nel retro bottega, e si impossessano di alcuni preziosi. I tre si danno alla fuga, raggiungendo la macchina parcheggiata davanti alla gioielleria, ma vengono inseguiti dal titolare, il quale, armato di pistola, incomincia a sparare: uno dei rapinatori viene solo ferito e riesce a fuggire; un secondo cade subito a terra esanime; il terzo, dopo essere caduto in terra, ferito, e preso a calci, riesce a rialzarsi, tentando di ribellarsi, ma poi si accascia privo di vita.

Il gioiellere viene rinviato a giudizio per duplice omicidio, tentato omicidio e porto abusivo di armi.

Il 4 dicembre 2023, la Corte d'Assise lo condanna a 17 anni di reclusione (il PM ne aveva chiesti 14), riconoscendogli il vincolo della continuazione, le attenuanti generiche e l'attenuante di cui all'art.62 n.2 c.p. (aver reagito in stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui).

Le famiglie delle vittime, costituite parti civili, si sono viste riconosciute delle provvisionali per complessivi € 450.000, da sommarsi agli € 300.000 già versati dal gioielliere.

Periti di Procura e difesa hanno riconosciuto parziale incapacità di intendere e volere, analizzata l'onda emotiva suscitata dalla rapina in questione, alimentata da quella subita in passato. Non sono stati dello stesso avviso quelli del Corte d'Assise.

La sentenza ha suscitato sdegno. La sensazione predominante nella collettività, in virtù probabilmente dell'esposizione di alcuni politici di spicco, è quella di una magistratura incapace di riconoscere la legittima difesa.

Art. 52 c.p. Difesa legittima

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Il testo dell'art. 52 del codice penale dispone:

"1. Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.

2. Nei casi previsti dall'art.614 c.p., primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo per difendere:

a) la propria o altrui incolumità;

b) i beni propri altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.

3. Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale.

4. Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone".

L'esegesi della norma

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Sinteticamente.

La legittima difesa è una causa di giustificazione o scriminante. Vale a dire: in situazioni eccezionali, un fatto normalmente previsto come reato non viene punito, in quanto è la legge a permettere o addirittura ad esigere quel comportamento.

Nel caso dell'esimente in parola, nel bilanciamento degli interessi contrapposti, viene fatto prevalere quello dell'aggredito su quello dell'aggressore, autore questi di una situazione di pericolo ingiusta.

Perché si possa parlare di legittima difesa, però, è essenziale il verificarsi di talune condizioni.

Il pericolo deve essere attuale, ossia deve essere imminente o persistente. Laddove l'aggressione o la situazione di pericolo sia cessata, la scriminante non trova più applicazione. Viene altresì esclusa la c.d. "difesa anticipata" o "preventiva".

L'aggressione deve essere ingiusta, da intendersi quale lesione all'altrui diritto non motivata o altrimenti autorizzata dall'ordinamento. Inoltre, il soggetto aggredito non deve essersi posto volontariamente nella situazione di pericolo (immaginiamo chi decida di partecipare ad una rissa e, nel corso della colluttazione, rechi lesioni o uccida qualcuno).

La reazione deve essere legittima, ossia inevitabile o non sostituibile con una meno grave ovvero con una scelta che comporti comunque la salvezza dell'aggredito o del bene tutelato.

La reazione deve essere proporzionata all'offesa, tenendo presente una serie complessa di fattori: i beni giuridici contrapposti; i mezzi utilizzati dalle parti; tempi e luogo dell'azione; ecc. Ad es.: non c'è proporzione se ad uno schiaffo si reagisce con la frattura di un arto o con una coltellata.

Facilmente evincibile come esso sia l'elemento più difficile da valutare in situazioni poco chiare.

Nel 2006, il legislatore ha introdotto una importante modifica, inserendo il comma 2, che disciplina la presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa, laddove la situazione di pericolo avvenga all'interno della privata dimora dell'aggredito. Non solo, ma la proporzione sussiste anche in caso di utilizzo di armi, se legittimamente detenute, o di altri mezzi idonei.

Nel 2019, un'ulteriore modifica ha comportato l'aggiunta del comma 4 e dell'avverbio "sempre" al comma 2.

Sebbene le novità del 2006 e del 2019 mirassero a limitare il potere discrezionale del giudice, va da sé come esse non portino l'automatica applicazione della scriminante, restando sempre dell'Autorità Giudiziaria di accertare la sussistenza delle predette condizioni. In altri termini, l'omicidio del rapinatore all'interno di una privata abitazione non esula l'Autorità Giudiziaria dall'accertare, per esempio, se egli stesse fuggendo a mani vuote, facendo venir meno la situazione di pericolo.

Il legislatore ha previsto che l'attualità, legittimità e proporzionalità della difesa fossero contestuali, per evitare un facile e incontrollato ricorso alla violenza e alla autotutela privata, non prevista dall'ordinamento.

La difesa legittima può essere invocata anche laddove meramente putativa, ossia quando, pur non sussistendone realmente le condizioni, essa viene supposta erroneamente dal soggetto agente che, sulla base di un errore scusabile nella valutazione delle circostanze del fatto, è indotto a credere di trovarsi in un pericolo attuale di un'offesa ingiusta.

Questo errore, come precisato, deve essere scusabile, cioè riscontrabile anche da elementi oggettivi, idonei a giustificare il convincimento sbagliato, non bastando il mero timore dell'agente.

La disamina della vicenda processuale

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Ovviamente, non si hanno a disposizione gli atti processuali per un commento pienamente adeguato, ma le immagini delle telecamere, rese pubbliche, consentono di poter svolgere un ragionamento sull'istituto della legittima difesa nel caso in esame.

Non v'è dubbio che all'interno della gioielleria, che ben può rientrare nel concetto di privata dimora, si fosse creata una situazione di pericolo che avrebbe giustificato una reazione, anche con armi, da parte delle vittime: i rapinatori avevano un coltello e una pistola (irrilevante che si sia scoperto successivamente che fosse un giocattolo, non essendo tale circostanza di immediata percezione) e avevano minacciato il gioiellere e la famiglia.

La questione giuridica sorge, però, dopo.

Nel momento in cui i rapinatori fuggono, è inequivocabile che la vita delle vittime non sia più in pericolo; di conseguenza, viene meno l'attualità richiesta dall'art. 52 comma 1 c.p.

L'azione si sposta sul suolo pubblico e il gioiellere (tra l'altro, con una pistola illegalmente detenuta) spara ai rapinatori. E' evidente che, ora, gli interessi contrapposti sono, da una parte, la proprietà dei gioielli, e, dall'altra, la vita umana. Quindi, non sussiste più neanche la proporzionalità della reazione difensiva, non giustificando il recupero di un bene patrimoniale con la privazione di una vita, ancorché quella di un criminale.

Il gioiellere aveva altre scelte (da qui il concetto di soluzione che comporti comunque la difesa del bene tutelato senza esiti estremi ed irreparibili), ad esempio: sparare dei colpi in aria per disincentivare la fuga oppure alle ruote della vettura; la macchina dei malviventi era parcheggiata in una posizione tale da poter essere inquadrata dalle telecamere, dunque, rintracciabile dalle Forze dell'Ordine.

Non solo, ma il gioielliere non esita ad accanirsi, nonostante i rapinatori non siano più in condizione di nuocere.

Dunque, dalla sequenza delle immagini del caso in esame, non si intravedono né l'attualità del pericolo, né la proporzionalità dell'offesa, oltre al fatto che i colpi sono stati inferti con un'arma detenuta illegalmente. Nemmeno pare essere invocabile la difesa legittima putativa, non riscontrando elementi concreti che potessero ragionevolmente far sorgere al gioielliere l'erronea convinzione di trovarsi ancora in una situazione di pericolo, in quanto si è spontaneamente messo all'inseguimento dei rapinatori, per poi accanirsi su di loro, di fatto trasformandosi da vittima a giustiziere.

Tuttavia, è altresì indubbio che egli fosse in una condizione psicologica fortemente compromessa, non solo dalla paura provata all'interno del negozio per sé e la sua famiglia, ma anche dalla pregressa esperienza, essendo già stato rapinato. Parimenti comprensibile che abbia reagito a causa dell'atto delinquenziale subito pochi istanti prima. Tutti elementi che sono valsi il riconoscimento delle circostanze attenuanti, sia generiche che quella specifica della provocazione, incidendo notevolmente nella dosimetria della pena.


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