Il tribunale di Salerno chiarisce quando una clausola è da ritenersi vessatoria secondo il Codice del consumo e si applica anche al condominio

Tutela del consumatore e clausole vessatorie

Quando una clausola può ritenersi vessatoria secondo il codice del consumo? A fornire chiarimenti in tal senso è il tribunale di Salerno con la sentenza del 29 agosto 2023 (sotto allegata) esaminando una lite tra una società e un condominio.

Nella vicenda, la società ricorrente, ricevuta la disdetta del contratto di manutenzione dell'ascensore condominiale, emette una fattura che contiene l'importo dei canoni a scadere nella misura del 60% come da previsione contrattuale.


Il Condominio chiede che detta fattura venga annullata perché emessa sulla base di patto considerato nullo per violazione del Codice del Consumo - art. 36 - per essere di contenuto vessatorio. La società chiedeva emissione di decreto ingiuntivo che veniva emesso dal Gdp di Eboli e il condominio presentava opposizione, premettendo che lo stesso doveva considerarsi alla stregua di un normale "consumatore" secondo costante orientamento della Cassazione (sent. n. 10086/01), denunciando la vessatorietà della clausola contenuta nell'art. 12 del contratto perché determinava a carico del condominio un vero e proprio squilibrio in favore della ditta di manutenzione. In primo grado, il giudice rigettava l'opposizione in quanto la norma invocata dal condominio (ossia il codice del consumo) non poteva applicarsi al caso di specie essendo stata emanata dopo la sottoscrizione del contratto (anno 2001) e, quindi, richiamando il principio del tempus regit actum, compensava le spese della lite. In appello, il condominio censurava la sentenza poiché affetta da travisamento e mancata applicazione della normativa indicata nonché per omessa declaratoria d'ufficio della nullità della clausola vessatoria costituita dall'art. 12 del contratto di manutenzione dell'ascensore.


Il tribunale, preliminarmente, afferma che "anche alla figura del Condominio è riconosciuta la qualifica di consumatore: in tal senso si è espressa anche la Corte di Giustizia: 'gli artt. 1 paragrafi 1 e 2 lett. b) Direttiva 93/13/ Cee, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell'ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell'ambito di applicazione della suddetta direttiva' (Corte giustizia UE sez. I, 02/04/2020, n.329)", per cui la sentenza di primo grado non può essere condivisa relativamente al ragionamento logico giuridico posto a fondamento della decisione.

Il tribunale ricorda inoltre che la Cassazione ha previsto che "in tema di clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore, la previsione dell'art. 33 comma 2 lett. e) D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, (cd. codice del consumo) - diretta a sanzionare la lesione inferta all'equilibrio negoziale che si concretizza nel trattenimento di una somma di denaro ricevuta prima dell'esecuzione delle prestazioni contrattuali, qualora non si ponga a carico dell'"accipiens" un obbligo restitutorio e un ulteriore obbligo sanzionatorio qualora sia egli stesso a non concludere o a recedere - è applicabile in presenza non solo di un contratto già concluso ed impegnativo per entrambi i contraenti, ma anche di un negozio preparatorio vincolante per il consumatore, quale quello discendente da una proposta irrevocabile, tutte le volte che il consumatore stesso - nel versare, contestualmente all'impegno assunto, una somma di denaro destinata ad essere incamerata dal beneficiario in caso di mancata sottoscrizione del successivo preliminare "chiuso" o del definitivo da parte del proponente - abbia aderito ad un testo, contenente la detta clausola vessatoria, predisposto o, comunque, utilizzato dal professionista oblato" (Cassazione civile sez. II, 30/04/2012, n. 6639).


Nel caso di specie, osserva il tribunale, la circostanza che non è stata presa in esame dal primo giudice è che il contratto di manutenzione, per quanto nato nel 2001, si è rinnovato tacitamente nel 2011, alla scadenza decennale: così, a quella data, essendo ampiamente intervenuto il codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005), le disposizioni in esso contenute trovano quindi applicazione.


Per cui, alla luce dell'avvenuta rinnovazione (seppur tacita) del contratto di somministrazione, considerato l'intervento del D.Lgs. n. 205 del 2006 che ha modificato la materia, visto l'esito giurisprudenziale si ritiene che, nel contratto in questione, trovano, dunque, applicazione le norme vigenti all'epoca del rinnovo.


Nel caso di specie, al giudicante, "appare verificarsi uno squilibrio, da un punto di vista normativo, tra le posizioni dei contraenti a svantaggio del consumatore, non essendo giustificata la richiesta - seppur controfirmata dalla appellante - del pagamento del 60% (oltre, dunque, la metà) del canone in assenza di un giustificato motivo ma, soprattutto, della mancata fornita prestazione, non contestata".

Pertanto, il tribunale dichiara la vessatorietà - e dunque la nullità - dell'art. 12 del contratto di manutenzione in essere tra le parti con la conseguente riforma della sentenza di primo grado.

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