Per la Cassazione, non è sufficiente allegare la "solidarietà tra coniugi" per non dover ripetere le somme di denaro ricevute in prestito dal partner durante la convivenza

La ripetibilità delle somme versate tra coniugi

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Non è sufficiente allegare la "solidarietà tra coniugi" per non dover ripetere le somme di denaro ricevute in prestito dal partner durante la convivenza. Lo ha stabilito la seconda sezione civile della Cassazione con ordinanza n. 11664/2023.

Nella vicenda, con sentenza n. 714/2022, la Corte di Appello di Catania confermava la decisione del Tribunale la quale andava a respingere l'opposizione proposta dalla ex moglie RM al decreto ingiuntivo con il quale il suo ex-marito BS la intimava a restituirgli la somma di 8.000,00 euro prestatale per l'acquisto di un'autovettura.

RM ricorreva allora in Cassazione avverso tale sentenza, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso l'ex-coniuge.

Con il primo motivo, la ricorrente denunziava alla Cassazione la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., sull'onere della prova, e dell'art 2033 c.c., sull'indebito oggettivo, in quanto adduceva come l'ex-marito non fosse stato in grado di provare che la dazione era stata fatta a titolo di mutuo e, pertanto, la ricorrente ripeteva come tale spostamento di ricchezza a suo favore fosse riconducibile nell'ambito della solidarietà tra coniugi.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava invece un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza della Corte di Appello, in quanto non considerante delle sue difese e facenti gravare su di essa l'onere di dimostrare di aver ricevuto la somma a titolo di liberalità.

La soluzione della Corte di Cassazione

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La Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha giudicato entrambi i motivi di ricorso infondati e in parte anche inammissibili, in quanto il ragionamento della Corte d'Appello di Catania viene ricondotto ad un consolidato e condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità [1].

Infatti, seppur si confermi la regola generale per cui è chi agisce per l'adempimento di un obbligo di restituzione (in questo caso: l'ex marito) a dover fornire la prova del titolo su cui si fonda la pretesa (il contratto di mutuo), allo stesso tempo si valorizza il principio generale del nostro ordinamento per cui chi riceve denaro altrui non è autorizzato a trattenerlo senza causa. L'allegazione della accipiens è stata a sua volta giudicata dalla Suprema Corte come generica e contrastante sia con il momento di ricezione della somma in una fase già di crisi del rapporto coniugale, sia con il reperimento della provvista da parte del B attraverso una società finanziari; inoltre, evidente era la mancanza di proporzionalità tra la somma consegnata e le condizioni economiche delle parti.

In parte, i motivi addotti dalla ricorrente sono stati anche ritenuti inammissibili, in quanto le valutazioni dei fatti di causa si risolvevano in apprezzamenti delle risultanze probatorie e pertanto non erano sindacabili in sede di legittimità se non sotto il profilo dell'insufficienza od illogicità intrinseca alle argomentazioni con cui la sentenza impugnata ha motivato la sua decisione: vizi che la ricorrente ha formalmente dedotto, ma non dimostrato, limitandosi a criticare il merito della decisione, ma non il procedimento logico ed argomentativo con cui la Corte di appello di Catania vi è pervenuta.

Per questi motivi la Cassazione, con ordinanza n. 11664/2023, respinge il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di giudizio.

Collegamenti giurisprudenziali e conclusioni riflessive

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Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha avuto modo di "rimettere mano" alla tanto dibattuta quanto delicata questione sulla ripetibilità delle somme versate tra partners.

Il principio affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, cui l'ordinanza in questione si è uniformata, parte dal presupposto che, se è pur vero che chi agisce per l'adempimento di un obbligo di restituzione di somme che assume di avere pagato è tenuto a fornire la prova del titolo su cui fonda il suo diritto ex art.2697 c.c., è anche innegabile che chi riceve denaro altrui non è, in linea di principio, autorizzato a trattenerlo senza causa. D'altronde, si rimarca come uno dei principi basilari annoverati dal nostro ordinamento è quello dell'inammissibilità dei trasferimenti di ricchezza ingiustificati, cioè privi di una causa legittima che giustifichi il passaggio di denaro o beni da un patrimonio all'altro.

In particolare, si argomenta come la mancata prova da parte dell'attore della sussistenza di un contratto di mutuo, non elimina in toto il problema del giudice di dover comunque accertare se sia consentito all'accipiens di trattenere le somme ricevute. Emerge, dunque, la necessità che il rigetto della domanda di restituzione sia argomentato dal giudice con una particolare cautela, tenendo conto della natura del rapporto e delle circostanze del caso, idonee a giustificare che una parte trattenga il denaro indiscutibilmente ricevuto dall'altra. [2]

In sintesi, l'orientamento in parola valorizza il principio che non ammette nel nostro ordinamento spostamenti di ricchezza senza giusta causa a discapito di una interpretazione restrittiva dell'art. 2697 sull'onere della prova.

Tornando al caso di specie, non ci sono dubbi che, l'ex-marito, richiedendo la restituzione delle somme versate alla ex partner per l'acquisto di un'automobile, fosse tenuto, e non sia riuscito, a provare tutti gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna ma anche il titolo della stessa, cioè il contratto di mutuo [3].

Detto questo, però, l'allegazione dell'accipiens era a sua volta inidonea a giustificare lo spostamento di ricchezza a suo favore, limitandosi, l'ex moglie, a dedurre, senza provare, la causa di solidarietà tra i coniugi.

Per i suddetti motivi, la Corte si è giustamente attenuta al vaglio di particolare cautela suggerito dalla stessa giurisprudenza di legittimità, per cui, prima di respingere la richiesta di ripetizione delle somme versate, bisogna valutare con attenzione se i fatti del caso concreto possono giustificare il trattenersi del denaro in questione.

Alla luce di quanto detto, i giudici di legittimità argomentano come una serie di elementi (tra cui la non proporzionalità della somma con le condizioni economiche dei due, il fatto che gli 8.000 euro in questione fossero stati prestati quando la coppia era già in crisi e il fatto che l'allora marito si fosse dovuto rivolgere a una società finanziaria per averne la disponibilità) non hanno permesso di perseguire la causa di liberalità avanzata dalla ricorrente, lasciando definitivamente "senza causa" tale spostamento di ricchezza e obbligando quindi l'accipiens alla restituzione di quanto ricevuto.

Matteo Santini

Caterina Neri


[1] Cass. Civ. n.17050/2014, Cass n.27372/2021

[2] Cass. n. 17050/2014

[3] Cfr. Cass., sez. 2, ordinanza n. 30944 del 29/11/2018; Cass., sez. 3, sentenza n. 9541 del 22/04/2010; Cass., sez. 6-1, ordinanza del 20/08/2020 n. 17410

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