Per il CNF, il divieto è previsto a difesa della dignità e decoro della professione, anche di fronte a condotte criticabili o addirittura illecite

Divieto di espressioni sconvenienti ed offensive

Le espressioni sconvenienti ed offensive (art. 52 cdf) assumono rilievo di per sé, "indipendentemente dal contesto in cui sono utilizzate e dalla attendibilità dei fatti che ne costituiscono oggetto, essendo il relativo divieto previsto a difesa della dignità e del decoro della professione, che, anche in presenza di condotte criticabili o perfino illecite dei colleghi o di terzi, impongono all'avvocato di manifestare la propria opinione o di formulare la propria denuncia in maniera riguardosa della personalità e della reputazione altrui indipendentemente dalla considerazione delle possibili conseguenze civilistiche o penalistiche della condotta. Tale divieto non si pone, tuttavia, assolutamente in conflitto con il diritto, garantito dall'art. 21 Cost., di manifestare con libertà il proprio pensiero, il quale non è assoluto ed insuscettibile di limitazioni, ma trova concreti limiti nei concorrenti diritti dei terzi e nell'esigenza di tutelare interessi diversi, anch'essi costituzionalmente garantiti". E' quanto ricorda il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 191/2022 (sotto allegata) rigettando il ricorso di un avvocato sospeso dal Consiglio distrettuale di disciplina dall'esercizio della professione per 10 mesi.

La vicenda originava dall'esposto di un collega il quale sosteneva che, nel corso di un'udienza penale in cui il ricorrente era imputato, lo stesso aveva usato frasi irriguardose e sconvenienti nei confronti del giudice e dei colleghi presenti, tra cui l'esponente.

Il legale si difendeva, ritenendo che la propria condotta fosse scriminata, "sia dal fatto che esso proferì quelle frasi nella qualità di imputato, nel pieno esercizio del diritto di difesa, sia dal particolare stato di agitazione/ira derivante dalla tipologia di processo".

Ma per il CNF, la censura non coglie nel segno.

Occorre precisare, a tal proposito, scrive il Consiglio, "che le espressioni sconvenienti ed offensive, anche quelle pronunziate nella vita non professionale dell'avvocato, impegnano, in ogni caso, la responsabilità disciplinare. Sia la giurisprudenza di legittimità che quella domestica hanno più volte tratteggiato la condotta a cui l'avvocato deve ispirarsi, anche nella sua vita privata, atteso che l'avvocato ha il dovere di comportarsi, in ogni situazione (quindi non solo nell'espletamento dell'attività forense), con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l'avvocatura svolge nella giurisdizione e deve, in ogni caso, astenersi dal pronunciare espressioni sconvenienti od offensive (art.52 cdf), il cui carattere illecito deve essere accertato caso per caso ed alla luce dell'ambito in cui esse sono pronunciate (cfr. Cass. SS.UU, n. 20383/2021; CNF n. 35/2021)". Occorre evidenziare, per di più, che il divieto di usare espressioni sconvenienti, previsto a presidio della dignità e del decoro della professione, conclude il Consiglio ritenendo congrua la sanzione e rigettando il ricorso, "non si pone assolutamente in conflitto con il diritto garantito dall'art. 21 della Costituzione

di manifestare con libertà il proprio pensiero il quale, pur non essendo assoluto ed insuscettibile di limitazioni, trova concreti limiti nei concomitanti diritti dei terzi allo stesso modo costituzionalmente garantiti".

Scarica pdf Cnf n. 191/2022

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