Per il cliente, che vuole essere risarcito dal suo legale, che ritiene responsabile professionalmente, non è sufficiente dimostrare il non corretto adempimento della prestazione, deve provare anche il nesso tra danno e condotta

Dovuto il compenso all'avvocato anche se la chiamata in causa dei terzi è nulla

Nell'ordinanza n. 3830/2023 (sotto allegata) la Cassazione ribadisce alcuni importanti principi in materia di responsabilità professionale dell'avvocato e del risarcimento del danno spettante al cliente. Vediamo perché.

Un avvocato agisce nei confronti di un Condominio cliente per ottenere il pagamento delle sue spettanze professionali. Domanda che il Condominio respinge perché nel giudizio in cui l'avvocato lo ha assistito nei confronti di una Cooperativa il legale ha chiamato in causa due condomini morosi, ma due di tali chiamate sono state dichiarate nulle per difetto di procura e la restante è stata dichiarata inammissibile per difetto di legittimazione.

Il Condominio per detti motivi, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, aveva avanzato domanda riconvenzionale risarcitoria e il Tribunale aveva accolto in parte la domanda dell'opponente rilevando l'errore in cui era incorso l'avvocato. Nella procura conferita al professionista non era menzionato infatti il potere di chiamare terzi in causa, contenendo la stesso la formula generica "ogni facoltà di legge."

La Corte di appello però, nel riformare la sentenza, chiarisce che la decisione non fornisce motivazioni sul danno che l'avvocato con la propria condotta avrebbe arrecato al Condominio. In ogni caso l'errore dell'avvocato non sussiste perché la procura alle liti conferisce al difensore il potere di proporre tutte le domande che non accedano l'oggetto della lite. Il procuratore del convenuto quindi può chiamare terzi in causa.

Il Condominio però in Cassazione fa valere la nullità delle chiamate in causa dei terzi ricollegabile a negligenza professionale, con cui giustifica il rifiuto di provvedere al pagamento del consenso dell'avvocato.

Motivo che però viene respinto dagli Ermellini perché del tutto infondato. La prestazione professionale di un avvocato è improntato infatti alla diligenza di cui all'art 1176 c.c. comma 2 e la sua violazione comporta un inadempimento contrattuale per il quale il legale è chiamato a rispondere per colpa lieve, a meno che non debba risolvere problemi di particolare difficoltà.

La Cassazione fa presente inoltre che, se il cliente deduce la responsabilità professionale del professionista, deve dimostrare il danno e che lo stesso è conseguenza della insufficiente o non adeguata attività professionale.

Non basta provare il non corretto adempimento del legale quindi, è necessario dimostrare il nesso di causa tra danno e condotta del professionista, l'esistenza del danno e anche che, qualora il professionista avesse tenuto il comportamento dovuto, il cliente avrebbe ottenuto il riconoscimento delle proprie ragioni in giudizio.

Ora, nel caso di specie, la chiamata in causa dei terzi in base a una procura con formulazione generica non è contraria alla diligenza professionale di cui all'art. 1176 c.c. comma 2. L'attività non si è rivelata del tutto inutile o impeditiva di un risultato che il cliente avrebbe ottenuto. Il legale quindi merita di vedersi riconosciuto il compenso previsto per l'attività svolta.

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