Diritti previdenziali e interventi legislativi: il lungo contenzioso pensionistico ex art. 54 del Dpr n. 1092 del 1973

Diritti previdenziali e interventi legislativi

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Nell'ordinamento italiano tutti i diritti sociali - e tra questi sono da comprendersi i diritti previdenziali - trovano esplicito radicamento ed immediata garanzia nella norma costituzionale.
Essi sono a tutti gli effetti diritti fondamentali e perfetti, anche se la loro diretta e piena azionabilità può risultare subordinata alla realizzazione dei profili modali, che rimane sempre riservata al legislatore.
Negli ultimi decenni il nostro legislatore è intervenuto più volte (sicuramente le adozioni principali sono la cd. legge Dini del 1995 e la legge Fornero del 2011) sul fronte pensionistico allo scopo di raggiungere quella ottimizzazione (spesso solo meramente finanziaria) del rapporto previdenziale nel suo omnicomprensivo riferimento.
Invero, però, la materia non è mai stata - in modo davvero lungimirante ed efficace - oggetto di un vero progetto di riforma radicale, sostenibile e ben armonizzata, soprattutto in relazione al Testo Unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato - D.P.R. n. 1092 del 1973.
Tutto ciò ha determinato una frammentazione del sistema, facendo registrare, quale ovvia conseguenza, una significativa produzione di contenzioso previdenziale: di tali e relativamente al personale militare il più rilevante è stato quello inerente al riconoscimento del diritto di cui all'art. 54 del citato Testo Unico.

Il contenzioso previdenziale

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In ordine al merito, la Legge n. 335/1995 ha fatto salva, nel regime transitorio, a favore dei dipendenti che avevano maturato alla data del 31 dicembre 1995 un'anzianità di almeno 18 anni, la corresponsione della pensione in ragione di un calcolo in base al sistema retributivo.

Viceversa, coloro che alla medesima data possedevano una anzianità inferiore, il trattamento pensionistico è attributo in ragione del cd. sistema misto (retributivo/contributivo), in cui le quote riferite al periodo anteriore al 31 dicembre 1995 vengono calcolate secondo il sistema retributivo, mentre i periodi successivamente maturati vengono computati secondo il sistema contributivo.

Ora, l'art. 54 dispone che "la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno 15 anni e non più di 20 anni di servizio utile è pari al 44% della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80% ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo". Invece, tradotto in sintesi, l'Istituto previdenziale applica al personale appartenente allo status militis, l'art. 44 del citato Testo Unico, interpretazione (erronea) che è diventato il motivo del contenzioso, anziché l'art. 54.

All'interno di dette posizioni interpretative ed applicative si è sviluppato un ampio contenzioso (durato oltre 4 anni) risolto dalla quasi totalità dei Giudici Unici delle Pensioni, con decisioni di accoglimento delle richieste dei ricorrenti.

Ed è proprio con uno scenario del genere che si è venuto a creare il necessario intervento delle Sezioni Riunite della Corte dei conti.

Con la decisione n. 1/2021/QM le Sezioni chiamate a dare una risposta in merito hanno enunciato i seguenti principi di diritto: La "quota retributiva" della pensione da liquidarsi con il sistema "misto", ai sensi dell'articolo 1, comma 12, della legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con oltre 20 anni di anzianità utile ai fini previdenziali e che al 31 dicembre 1995 vantava un'anzianità ricompresa tra i 15 anni ed i 18 anni, va calcolato tenendo conto dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995, con applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile determinato nel 2,44%". Conseguentemente: l'aliquota del 44 % non è applicabile per la quota retributiva della pensione in favore di quei militari che, alla data del 31 dicembre 1995, vantavano un'anzianità utile inferiore a 15 anni".

A seguire, poi, sempre il Supremo consesso della Corte dei Conti con la Sentenza n. 12/2021/SR/QM/SEZ ha risolto anche la posizione pensionistica nei confronti del personale militare avente un'anzianità inferiore ai 15 anni alla data del 31 dicembre 1995, con un'anzianità di servizio superiore a 20 anni.

Infatti, "la quota retributiva della pensione da liquidarsi con il sistema misto, ai sensi dell'art. 1, comma 12. Legge n. 335/1995, in favore del personale militare cessato dal servizio con anzianità superiore a 20 anni e che al 31 dicembre 1995 vantava un'anzianità inferiore a 15 anni, va calcolata tenendo conto dell' effettivo numero di anni di anzianità maturati alla predetta data, con applicazione dell'aliquota del 2,44% per ogni anno utile".

Conclusioni

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Riassuntivamente, il supremo collegio con funzione nomofilattica è addivenuto con le due citate sentenze ad una (nuova) interpretazione e conseguente attuazione per il calcolo della quota retributiva (Quota A): non l'aliquota del 44%, né tanto meno la tesi sostenuta dall'Istituto Previdenziale, ma bensì, riconoscendo comunque a tutto il personale militare l'applicazione del coefficiente 2,44% per tutti gli anni di anzianità maturati al 31 dicembre 1995.

A tal riguardo, a conclusione di questo breve scritto, pare utile spendere qualche momento per approfondire il fondamento della nomofilachia.

E' del tutto fisiologico al sistema che nella esegesi della legge possano emergere divergenze di vedute tra i vari magistrati chiamati ad applicarla, non essendo alcuno di essi (su base più propriamente teorica) vincolato dall'interpretazione che ne hanno dato altri; del resto proprio per questo l'ordinamento giuridico appronta più gradi di giudizio e istituisce appositi rimedi processuali per agevolare la ricomposizione e soluzione delle divergenze.

Ed allora, la nomofilachia è nel vigente ordinamento giuridico funzionale ad assicurare "l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge".

Pertanto, il fine ultimo della funzione nomofilattica è la salvaguardia dei principi della certezza del diritto, della "prevedibilità delle decisioni giudiziarie", nonché della "sicurezza giuridica".

Per detti motivi è stato evidenziato che l'uniformità della interpretazione della legge cui tende la nomofilachia, costituisce da un lato un valore (giuridico) essenziale di ogni ordinamento, dall'altro si estende come "valore sociale" in una comunità.

Avv. Francesco Paolo MASTROVITO

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