La Cassazione ricorda che il reato di atti persecutori è integrato da più azioni reiterate, moleste e minacciose, una sola azione composta da due atti ravvicinati nel tempo non basta

Suonare due volte il campanello per chiedere di parlare non è stalking

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Gli atti successivi commessi da una soggetto già condannato per il reato di atti persecutori, si possono considerare collegati ai precedenti e dare quindi vita alla continuazione, solo se danno vita a un nuovo reato completo in tutti i suoi elementi. Deve quindi trattarsi, per quanto riguarda il reato di stalking, di una pluralità di condotte reiterate, moleste e minacciose in grado di "cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita."

Queste le precisazioni della sentenza n. 12041/2021 (sotto allegata) della Corte di Cassazione, che nel caso specifico ha escluso l'integrazione di un nuovo reato di stalking. La condotta contestata al soggetto già condannato per lo stesso delitto, uscito dalla detenzione è infatti solo quella di essersi recato a casa della vittima e aver suonato due volte il campanello chiedendole di parlare.

Reato di atti persecutori ex art. 612 bis c.p.

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Tutto ha inizio quando il giudice di primo grado condanna l'imputato per il reato aggravato di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p. in relazione alle condotte del 10 settembre 2018, dichiarando invece di non doversi procedere per quelle antecedenti, perché per le stesse è già stato sottoposto a procedimento.

La Corte d'Appello adita dall'imputato però ribalta la decisione di primo grado, ritenendo che le condotte commesse e per le quali il soggetto è già stato condannato e quelle successive siano parte di un unico disegno criminoso.

Il singolo episodio isolato non ha rilevanza penale

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L'imputato a questo punto ricorre in Cassazione sollevando ben 4 motivi di doglianza.

  • Con il primo denuncia l'errata valutazione della condotta in grado d'integrare il reato di stalking.
  • Con il secondo fa presente che le condotte del 10 settembre 2018 e oggetto di giudicato sono state ritenute fatto integrativo della condotta per cui è stata resa condanna per il delitto di atti persecutori. In questo modo gli sarebbero stati contestati fatti già oggetto di condanna, senza i quali l'unico episodio del 10 settembre non avrebbe alcuna rilevanza penale.
  • Con il terzo lamenta contraddittorietà della motivazione dal momento che la Corte prima ha ritenuto che l'aver suonato per due volte il citofono della persona offesa nel giro di pochi minuti integri il reato di atti persecutori e poi per aver affermato che in assenza della condotta già giudicata non si sarebbe arrivati alla stessa conclusione.
  • Con il quarto infine denuncia la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto su cui è intervenuta la decisione in quanto solo la condotta del 10 settembre avrebbe dovuto essere oggetto del presente procedimento.

Non c'è stalking se l'azione compiuta è unica

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La Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza perché il fatto non sussiste, dichiarando fondato il primo motivo del ricorso e assorbiti tutti gli altri per le seguenti ragioni.

Con il primo motivo di ricorso l'imputato ha addotto che la condotta posta in essere non può integrare il reato di atti persecutori perché non è reiterata. La condotta a cui fa riferimento l'imputato è quella del 10 settembre 2018, commessa quando lo stesso, tornato in libertà dopo un periodo di reclusione a cui è stato condannato per il delitto di atti persecutori commesso ai danni della persona offesa, si è recato dalla stessa e ha suonato il citofono invitandola a scendere pronunciando le seguenti parole "sono io amore mio, scendi, sono (…) dammi una possibilità, dai ti prego fammi parlare."

L'uomo nel dettaglio ha suonato la prima volta alle 16.45, la persona offesa dopo aver risposto ha chiesto l'intervento immediato dei Carabinieri. Dopo qualche minuto l'imputato ha suonato nuovamente il campanello. La persona offesa ha risposto credendo fossero Carabinieri. Arrivate sul posto le Forze dell'Ordine rilevavano in effetti la presenza dell'imputato e lo stato di forte agitazione della vittima, in lacrime.

Tuttavia, come già chiarito in precedenza dalla stessa Cassazione n. 11925/ 2020 "in tema di atti persecutori, nel caso in cui un soggetto sia stato già condannato per tale delitto, gli atti successivi possono essere collegati a quelli precedenti, ai sensi dell'art. 81 c.p., solo nel caso in cui diano vita a un reato completo in tutti i suoi elementi, ossia a una serie di condotte da cui consegue uno degli eventi di cui all'art. 612-bis c.p. e ciò in quanto il delitto in questione, avendo natura di reato necessariamente abituale, non è configurabile nel caso di un'unica, per quanto grave, condotta di molestia e minaccia."

Chiarito questo concetto, nel caso di specie la condotta dell'imputato si è sostanziata in una pluralità di azioni o in una soltanto?

La Corte, richiamando la dottrina, chiarisce che occorre tenere conto del duplice criterio finalistico e temporale, per cui "azione unica (…) non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di "atti" che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell'azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa".

Traslando il concetto al caso di specie l'imputato ha prima suonato, poi atteso sotto la porta e bussato nuovamente chiedendo alla donna di poter parlare. I due atti compiuti nell'immediata successione con un unico fine devono far propendere per un'azione unica, che quindi, alla luce dei principi esposti, non può configurare il delitto di atti persecutori e neppure quello di molestia, poiché la condotta non solo non è reiterata, ma non è connotata neppure da insistenza o petulanza.

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Scarica pdf Cassazione n. 12041/2021

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