Per la Cassazione, palpeggiare il gluteo di una minore in modo rapido senza che la vittima possa reagire o difendersi integra il reato di violenza sessuale

Violenza sessuale nei confronti di una minore

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C'è violenza sessuale anche nel palpeggiare repentinamente il gluteo di una minore, impedendole così di difendersi e di reagire. Queste in sintesi le conclusioni della Cassazione nella sentenza n. 31737/2020 (sotto allegata) che hanno messo fine a una vicenda iniziata con l'accoglimento, da parte della Corte d'Appello del gravame del Pubblico Ministero e la conseguente condanna dell'imputato per il reato di violenza sessuale di cui all'art. 609 bis, ultimo comma c.p. (nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi) per aver palpeggiato in modo repentino il gluteo di un'adolescente, contro la sua volontà.

Non c'è violenza sessuale se manca la finalità della libidine

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L'imputato però ricorre in Cassazione, sollevando i seguenti motivi di ricorso.

  • Con il primo deduce l'erronea applicazione della norma che contempla il reato di violenza sessuale stante l'assenza di prove sulla parte del corpo toccata, sulla finalità di libidine e a causa della mancata valutazione del contesto in cui si sono svolti i fatti.
  • Con il secondo lamenta vizio di motivazione per errata ricostruzione della vicenda e travisamento delle dichiarazioni confuse e incoerenti del testimone.
  • Con il terzo fa presente che il testimone non è stato in grado di indicare l'età della vittima, sulla quale quindi non vi è certezza che fosse minorenne. Il totale disinteresse della ragazza per la vicenda inoltre, dimostrata attraverso la sottrazione volontaria della stessa all'esame, costituisce un evidente impedimento all'affermazione della sua penale responsabilità.

E' violenza sessuale anche il palpeggiamento repentino e imprevedibile

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La Corte di Cassazione però con la sentenza n. 21737/2020 dichiara il ricorso inammissibile.

Per prima cosa gli Ermellini esaminano il secondo motivo di doglianza relativo alla ricostruzione dei fatti perché pregiudiziale rispetto al precedente, dichiarandolo infondato.

Non è vero che le dichiarazioni del teste, sentito nuovamente in appello, sono incoerenti e confuse. Al contrario, il teste narra con lucidità e coerenza che l'imputato nell' "imboccare a piedi un porticato cittadino provenendo dall'adiacente carreggiata e passando vicino ad un gruppetto di ragazzini, palpeggiò il sedere di una di loro, che indossava pantaloncini corti, dandole una stretta al gluteo."

Il testimone narra anche di aver inseguito l'uomo, che inizialmente ha tentato di dileguarsi, poi ha tentato di corromperlo offrendogli del denaro, pregandolo di lasciarlo perdere perché c'era sua moglie, probabilmente nelle vicinanze. Il teste però non ha desistito, ha chiamato le Forse dell'ordine, che giunte sul posto hanno identificato il responsabile del gesto.

Infondato pertanto anche il primo motivo, trattandosi indubbiamente, per come sono stati descritti i fatti, di un atto di violenza sessuale. Del resto la Corte ha più volte ribadito che: "ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, per attribuire rilevanza a quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, il giudice deve effettuare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante. Per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica. E' del pari consolidato il principio secondo cui l'elemento della violenza può estrinsecarsi, nel reato di violenza sessuale, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi."

Non regge quindi neppure la contestazione relativa all'assenza della finalità di libidine dell'azione, perché "non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito", come concluso da una precedente Cassazione proprio in riferimento a una condotta similare di palpeggiamento. La Corte precisa infatti che "l'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente."

Parimenti infondato infine anche il terzo motivo. Il testimone non ha esitato sulla minore età della vittima, dimostrando solo incertezza sull'età precisa della stessa, che a suo dire poteva avere al massimo 15 anni. Errata anche la doglianza con cui l'imputato è giunto erroneamente all'esclusione della propria responsabilità penale solo perché la vittima non si è sottoposta ad esame. La disposizione menzionata dall'imputato (art 526 comma 1 c.p.p) impedisce "l'utilizzabilità di dichiarazioni accusatorie rese da chi si sottrae al contro-esame della difesa", non a "soggetti che non sono mai stati escussi nel procedimento, del quale, come nella specie deve ritenersi per la persona offesa rimasta ignota."

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