Casi dove il silenzio dell'amministrazione sulla domanda di riesame è illegittimo, sussistendo l'obbligo dell'autorità prefettizia di provvedere in merito
Avv. Francesco Pandolfi - E' un principio conosciuto quello in forza del quale è esclusa, in capo alla Pubblica amministrazione, un obbligo di provvedere sulle istanze del privato tendenti all'esercizio del potere di riesame.

Esclusione dell'obbligo di provvedere sulle istanze di riesame

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Questo perchè nel nostro Ordinamento è scolpito il carattere discrezionale della potestà di autotutela, in modo che l'atto di diffida del privato o la messa in mora che hanno come scopo l'ottenimento di un provvedimento di revoca o di annullamento di atti precedenti, di norma vengono considerati come se fossero semplici sollecitazioni del potere amministrativo, in quanto non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere sulle istanze.

La conseguenza diretta di questo stato di cose è, sul piano processuale, l'impossibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto: in sostanza, il principio generale sopra illustrato ha la sua origine nell'esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell'atto amministrativo nel suo naturale termine di decadenza.

Ammissione dell'obbligo di provvedere sulle istanze di riesame

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Le regole sopra enunciate rappresentano niente altro che i criteri generali regolatori della materia.

Tuttavia, siamo in presenza di una materia che ammette eccezioni, anche di una certa rilevanza.

Vediamo, dunque, la natura di tali eccezioni: in altri termini, vediamo quando sussiste l'obbligo di provvedere sulle istanze di riesame da parte del Ministero dell'Interno.

Ebbene, l'art. 39 R.D. n. 773/31 non stabilisce una durata limitata nel tempo al divieto che può essere imposto dal Prefetto.

Ora, nonostante che la potestà attribuita dalla norma all'autorità di p.s. sia giustificata dalle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, il provvedimento inibitorio di cui parliamo non può avere una efficacia sine die, dato che questo farebbe sorgere dubbi di legittimità costituzionale della disciplina, in relazione al principio del buon andamento dell'amministrazione pubblica (art. 97 Cost.) e ai correlati canoni di ragionevolezza e proporzionalità, non rispondendo ad alcun interesse pubblico la protrazione a tempo indeterminato del divieto, qualora sia venuta meno l'attualità del giudizio di pericolosità espresso in passato.

Obbligo di pronunciarsi su istanza di revisione

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La conseguenza del criterio di ammissibilità del riesame è che, a fronte della mancanza di un limite temporale di efficacia del divieto di detenzione armi, si deve riconoscere in capo al destinatario un interesse giuridicamente protetto a ottenere il riesame dopo il decorso di un ragionevole lasso di tempo e, poi, in presenza di sopravvenienze che potrebbero aver mutato il quadro indiziario che aveva caratterizzato l'originaria valutazione di inaffidabilità della persona.

La sostanza del discorso, alla fine, è la seguente.

Rimane sempre la discrezionalità riservata in materia all'autorità prefettizia, ma nella fattispecie si riespande il generale obbligo di pronunciarsi sull'istanza di revisione del privato, ai sensi dell'art. 2 Legge n. 241/90.

Ecco perchè, nel ricorso al Tar avviato dalla persona interessata alla rimozione del divieto detenzione armi, la domanda del privato viene accolta.

In quel ricorso, il silenzio serbato sulla domanda di riesame viene dichiarato illegittimo, dal momento che sussiste l'obbligo dell'autorità di provvedere in merito, concludendo il relativo procedimento con un provvedimento espresso e motivato in applicazione degli artt. 2 e 3 della Legge n. 241/90.

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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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