Per la Cassazione non solo non spetta l'indennizzo da irragionevole durata se il processo presupposto per la domanda è estinto per carenza di interesse ma scatta anche la sanzione

di Annamaria Villafrate - Con l'ordinanza n. 4973/2020 (sotto allegata) la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da una ricorrente che si è vista rigettare la richiesta d'indennizzo per irragionevole durata del processo e applicare la sanzione processuale di 3000 euro da versare alla Cassa delle ammende. Per gli Ermellini la corte d'Appello ha correttamente motivato sia il rigetto della domanda che l'applicazione della sanzione. Prima di tutto infatti l'indennizzo previsto dalla legge Pinto non può essere riconosciuto se il processo che rappresenta il presupposto della domanda si è estinto per rinuncia agli atti o per inattività delle parti. In secondo luogo il giudice d'Appello ha correttamente applicato il principio in base al quale, nel caso in cui si abusi del processo per ottenere l'indennizzo da irragionevole durata, è prevista la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Tremila euro di sanzione e rigetto della domanda per l'equo indennizzo

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Con ricorso ex artt. 2 e 3 della L. n. 89/2001, parte ricorrente adisce la Corte d'Appello per vedersi riconoscere l'equo indennizzo relativo all'ulteriore irragionevole durata (6 anni, 9 mesi e 7 giorni), per un procedimento instaurato inizialmente di fronte al T.A.R e conclusosi con declinatoria di giurisdizione nel 2009 (e per il quale aveva ottenuto il risarcimento) e poi riassunto davanti al Tribunale, ma concluso ex art. 307 c.p.c. per mancata riassunzione dopo la dichiarazione d' incompetenza del Giudice adito, con un provvedimento del settembre 2016, che ha dichiarato l'estinzione del giudizio. Il giudice di secondo grado adito però rigetta la domanda e condanna la ricorrente al pagamento della sanzione processuale di 3000 euro da versare alla Cassa delle Ammende.

Ingiusta la sanzione di 3000 euro per infondatezza della domanda

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La soccombente ricorre quindi in Cassazione lamentando con il primo motivo l'omessa trattazione dei motivi dell'opposizione sollevata, con il secondo invece la sanzione di 3000 euro irrogata, basata sulla manifesta infondatezza della domanda avanzata.

Niente indennizzo legge Pinto se il processo presupposto è estinto

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La Cassazione con l'ordinanza n. 4973/2020 dichiara il ricorso inammissibile anche se, in ragione delle novità delle questioni trattate, dispone la compensazione integrale delle spese di giudizio.

Gli Ermellini evidenziano come la Corte d'Appello ha fatto giustamente presente che, anche tenendo conto della disciplina previgente alle modifiche apportate alla legge Pinto in virtù della legge 208/2015 "la chiusura del giudizio presupposto per inattività delle parti rendeva necessarie le allegazioni e prove in ordine alla sussistenza di un effettivo danno", prove e allegazioni che nel caso di specie non sono state prodotte.

La Corte d'Appello ha inoltre rilevato che, in ogni caso, l'assenza del danno risultava già dagli atti, visto che la ricorrente pretendeva di essere risarcita per il ritardo di un processo presupposto che non avrebbe dovuto neanche instaurare per mancanza di interesse. Ella infatti aveva ottenuto dall'Inps l'inquadramento richiesto, ma nonostante questo risultato aveva riassunto il giudizio davanti al Tribunale, reiterando la domanda a cui non aveva più interesse.

Per la Cassazione, dopo un excursus legislativo e giurisprudenziale in materia, al caso di specie deve farsi applicazione della L. n. 208/2015 che ha sancito, a partire dall'1.1.2016, l'entrata in vigore delle modifiche della Legge Pinto, tra cui il comma 2 -sexies, che è stato aggiunto all'art. 2 "che ha introdotto la presunzione fino a prova contraria dell'insussistenza del danno, con inversione dell'onere della prova."

Questa norma, ossia il comma 2 sexies, lettera c) infatti "ha inciso, in particolare, sulla disciplina del riparto dell'onere della prova, con riferimento al presupposto per la sussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, nel senso di contemplare una presunzione iuris tantum di disinteresse della parte a coltivare il giudizio in caso di estinzione verificatasi ai sensi degli articoli 306 e 307 c.p.c."

Per comprendere meglio basta riportare letteralmente il comma 2 sexies lett. c dell'art. 2 della legge Pinto n. 89/2001 che, dopo le modifiche apportate dalla legge 208/2015 risulta così formulato:" Si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo, salvo prova contraria, nel caso di: c) estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti ai sensi degli articoli 306 e 307 del codice di procedura civile e dell'articolo 84 del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104."

Infondato di conseguenza anche il secondo motivo del ricorso, che contesta l'irrogazione della sanzione processuale di 3000 euro, in quanto il procedimento finalizzato a ottenere l'indennizzo per irragionevole durata del processo non doveva neppure essere iniziato, stante la carenza di interesse della ricorrente. Per cui la Corte d'Appello ha fatto corretta applicazione del principio in base al quale: "in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, l'abuso del processo posto in essere dalla parte comporta la condanna della stessa al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende."

Leggi anche Legge Pinto: cosa prevede e come si presenta il ricorso

Scarica pdf Cassazione n. 4973/2020
Vedi anche:
La legge Pinto - Guida, testo della legge e Modelli
Approfondimenti vari sulla legge pinto

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