La valorizzazione dell'autonomia privata nella gestione del passaggio generazionale dell'impresa: cos'è e come funziona il patto di famiglia

di Corrado De Rosa - Si definisce patto di famiglia il contratto con il quale un soggetto (c.d. disponente), imprenditore o socio, trasferisce in tutto o in parte l'azienda o le partecipazioni sociali di sua titolarità ad uno o più suoi discendenti (c.d. assegnatari), e questi ultimi, contestualmente o con atto successivo, liquidano tutti coloro che sarebbero legittimari del disponente qualora alla conclusione del patto di famiglia si aprisse la sua successione; la liquidazione può avvenire in denaro o con beni in natura, in misura pari alla rispettiva quota riservata ai legittimari non assegnatari ex artt. 536 ss c.c.

Patto di famiglia: il contratto e i numeri

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Il tratto caratterizzante e più significativo di questo contratto consiste nel realizzare effetti assimilabili ad una successione anticipata e autonoma: con riferimento a quanto ricevuto dai contraenti non potranno essere esperiti i rimedi della riduzione e della collazione.

Si realizza, in sintesi, una trasmissione contrattuale dell'attività imprenditoriale a vantaggio di discendenti determinati, che definisce e cristallizza il valore di quanto trasferito, e che è caratterizzata da tendenziale stabilità.

L'introduzione di una disciplina civilistica diretta a favorire il passaggio generazionale delle imprese discende dal diritto comunitario[1].

Dalla stessa Comunità Europea derivano dati statistici interessanti: uno studio ha stimato che 5 milioni di imprese nei sette anni tra il 2007 e il 2014 sono passate di padre in figlio, con una media 610.000 trasferimenti anno. In Italia i numeri affermano che l'83% delle imprese è a conduzione familiare, e che l'85% delle imprese familiari scompare entro la terza generazione[2].

In questo studio saranno approfonditi solo alcuni aspetti dell'istituto, con particolare riferimento alle tematiche ancora discusse, e nelle quali maggiormente rileva l'autonomia negoziale.

Per approfondire vai alla guida generale I patti di famiglia

La natura e la forma del patto di famiglia

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Secondo una parte della dottrina, il patto di famiglia andrebbe letto come una forma di liberalità; alcuni hanno parlato di una donazione modale[3], altri di una liberalità indiretta ex art. 809 c.c.[4]. Questi Autori osservano infatti che il trasferimento principale (da disponente ad assegnatario) è connotato da gratuità, e che, come la donazione, si tratta di una forma di anticipazione della successione. La tesi è stata criticata, in quanto nel patto di famiglia manca l'animus donandi[5].

Un ulteriore orientamento attribuisce al patto di famiglia una funzione divisoria[6]: il disponente estromette l'azienda o le partecipazioni sociali dalla futura comunione ereditaria, favorendo e semplificando le operazioni divisionali[7]. Ciò sarebbe dimostrato dal fatto che la disciplina è collocata proprio nel Capo IV del Libro Secondo del codice civile, dedicato alla divisione ereditaria. Ulteriormente, l'istituto sembra una rivisitazione della divisio inter liberos (art. 1045 codice civile del 1865) contrassegnata anch'essa da un "carattere distributivo"[8].

La riflessione centrale alla base di questo orientamento è che divisionale può realizzarsi anche senza che ad alcuni dei condividenti siano assegnati beni del patrimonio comune. Il patto di famiglia realizzerebbe una forma di divisione simile a quella prevista dall'art. 720 c.c., che immobili non comodamente divisibili prevede l'assegnazione del cespite al contitolare che abbia la quota maggiore, il quale sarà poi tenuto a liquidare le spettanze degli altri condividenti.[9].

Si ritiene più corretto, in realtà, parlare di un nuovo contratto tipico[10], con caratteristiche, natura e disciplina sue proprie, al quale però occorre riconoscere, in adesione alla terza tesi esposta, prevalente dinamica divisoria.

Se possiamo considerare prevalente la natura divisoria, le ricadute sulla struttura del negozio sarebbero le seguenti.

Anzitutto, non trattandosi di donazione, e non essendo richiesto espressamente dalla legge, non pare che occorra l'intervento obbligatorio dei testimoni nell'atto.

In secondo luogo, è richiesta la partecipazione al contratto di tutti i legittimari del disponente[11], come nella divisione, che prevede un litisconsorzio necessario.

Occorre a questo punto chiedersi quale sia la conseguenza della mancata partecipazione al contratto di uno dei legittimari non assegnatari. Un primo approccio porterebbe a parlare di nullità del contratto per violazione di norma imperativa[12], ma la conclusione non consente di fare salva la volontà comunque attributiva del disponente. Si è argomentato[13] che il patto di famiglia potrebbe essere in tal caso subordinato all'adesione (in un momento successivo) del legittimario non partecipe, o ancora, si potrebbero attribuire effetti immediati e vincolanti per i legittimari partecipanti al contratto ma considerare questo accordo inopponibile al legittimario assente[14] (il quale conserverà il diritto di impugnare con l'azione di riduzione e chiedere la collazione delle assegnazioni[15], a meno di una sua successiva adesione).

Bisogna ammettere, ancora, una "procedimentalizzazione" nella formazione del patto di famiglia. Sarebbe in altre parole possibile stipulare un primo contratto bilaterale con il quale il disponente attribuisce i beni all'assegnatario cui seguirebbe un secondo contratto, funzionalmente collegato al primo, stipulato tra l'assegnatario e gli altri legittimari, con il quale si cristallizzano i valori dell'attribuzione e si procede alla liquidazione[16]: gli effetti tipici del patto di famiglia si produrrebbero solo con la stipulazione del secondo contratto.

L'oggetto del trasferimento al legittimario assegnatario

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Il testo della legge, all'art. 768 bis c.c., individua quale oggetto del contratto l'azienda (in tutto o in parte) o le quote di partecipazioni societarie (ancora, in tutto o in parte).

Di qui due possibili interpretazioni: secondo parte della dottrina[17] la norma dovrebbe essere letta in senso estensivo, comprendendo dunque ogni forma di titolarità "d'impresa" in senso ampio; secondo altri autori[18] invece occorre che il legittimario assegnatario acquisti con il patto di famiglia la "governance" o "il controllo" dell'impresa (sia essa esercitata in forma individuale o collettiva).

La tesi più rigorosa trova riscontro nel dato letterale dell'art. 768 bis c.c., dove la legge qualifica il disponente come "imprenditore". Ciò porta a pensare che l'accesso al patto di famiglia dovrebbe essere precluso a tutti coloro che non rivestano tale ruolo (in forma individuale, o detenendo una partecipazione di maggioranza nella società).

In altri termini la disciplina di favore del patto di famiglia è giustificata da un interesse esclusivo: facilitare il passaggio generazionale dell'impresa, in modo da evitare che la successione ereditaria comporti lo smembramento dell'azienda e la perdita della sua capacità produttiva. L'istituto non si attaglia, ad esempio, al passaggio generazionale di ricchezza investita in partecipazioni acquistate a scopo speculativo.

Con riferimento all'azienda, l'espressione "in parte", usata dal legislatore, conduce all'ammissibilità del patto di famiglia avente ad oggetto solo uno dei diversi rami d'azienda di titolarità del disponente[19]. È invece discusso se oggetto del negozio possa essere la nuda proprietà dell'azienda, nel caso in cui il disponente voglia riservarsene l'usufrutto; nonostante alcuni dubbi siano stati espressi in passato è preferita in dottrina l'opinione positiva[20].

Si riscontra così come l'attribuzione parziale dell'azienda, consentita dalla legge, dovrebbe essere intesa sia nel senso della parte materiale (uno dei rami dell'azienda) che nel senso del diritto parziale (nuda proprietà gravata da usufrutto).

Quanto alle partecipazioni sociali, il tema è forse ancor più delicato.

La dottrina maggioritaria[21] ha ritenuto che possano formare oggetto del patto di famiglia solo "partecipazioni di controllo": la ratio legis è quella di fornire all'assegnatario non una partecipazione di mero investimento, ma un potere sulla società. Ci si deve dunque interrogare sulla nozione di "controllo" da adottare nel caso di specie.

Ricorrono inequivocamente i presupposti per l'applicazione della disciplina del patto di famiglia quando la partecipazione sociale oggetto di cessione è maggioritaria. Ancora, non pare vi siano problemi quando le partecipazioni oggetto del patto, di per sé sole insufficienti a garantire il controllo, attribuiscano all'assegnatario la maggioranza in quanto sommate alla partecipazione che egli già possieda nella società.

Parte della dottrina ritiene poi che possano formare oggetto del patto di famiglia anche partecipazioni sociali che non rappresentino la maggioranza, ma che assicurino all'assegnatario "un potere di concorso e influenza nella gestione dell'impresa collettiva"[22].

Si possono riproporre per la partecipazione sociale le riflessioni anzi svolte circa l'attribuzione all'assegnatario della (sola) nuda proprietà dell'azienda.

In conclusione, per l'opinione prevalente, non possono formare oggetto di patto di famiglia le partecipazioni del socio accomandante, né pacchetti azionari di mero investimento (quali ad esempio azioni di risparmio, o quote di completa minoranza in una società quotata), o quote di società di godimento.

La liquidazione dei legittimari non assegnatari

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L'art. 768 quater c.c. dispone, al secondo comma, che l'assegnatario deve «liquidare gli altri partecipanti al contratto, ove questi non vi rinunzino in tutto o in parte, con il pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti».

Le quote richiamate dalla norma sono le quote di legittima riservate ai figli e al coniuge non assegnatari[23], mentre la base di calcolo è rappresentata dal valore che le parti attribuiscono all'azienda o alle partecipazioni sociali oggetto di attribuzione all'assegnatario.[24]

Effetto centrale del patto di famiglia è la cristallizzazione dei valori alla data del contratto stesso: essi sono previsti dalle parti in autonomia, e sono resi stabili e definitivi per effetto di legge con la sottoscrizione del contratto.

Alla luce di quanto sopra, se le parti pattuiscono che la liquidazione avvenga in denaro non si pongono particolari problemi: la legge non esclude, per altro, che la liquidazione avvenga in forma dilazionata o differita.

La stessa norma ammette che i legittimari non assegnatari possano rinunciare al loro diritto di liquidazione, che sorge ex lege (anche parzialmente). La rinunzia in esame ha, generalmente, causa liberale e può essere considerata come una liberalità indiretta tra legittimario non assegnatario (per esempio, coniuge) e assegnatario (discendente) ai sensi e per gli effetti dell'art. 809 c.c..

Il comma secondo dell'art. 768 quater c.c. prevede anche: «i contraenti possono convenire che la liquidazione, in tutto o in parte, avvenga in natura». Probabilmente non si tratta di datio in solutum, ma di un'attribuzione direttamente ammessa per legge nel patto di famiglia.

Proprio circa la liquidazione dei legittimari non assegnatari si pone uno dei temi centrali del patto di famiglia. Sin dall'introduzione della norma gli interpreti si sono chiesti se la liquidazione dei legittimari non assegnatari possa essere effettuata dal disponente, invece che dal legittimario assegnatario.

Il problema ha un forte riscontro pratico: nella realtà economica familiare è difficile che l'assegnatario abbia le disponibilità economiche per procedere alla liquidazione (mentre sarebbe molto più facile il ricorso all'istituto se fosse l'imprenditore a poter liquidare gli altri figli e il coniuge non assegnatari).

Parte della dottrina[25] ha sostenuto che il disponente potrebbe procedere a liquidare i legittimari non assegnatari con beni del proprio patrimonio, in denaro o in natura, e che anche queste assegnazioni,. in quanto contenute nel patto, sarebbero protette dal disposto dell'art. 768 quater, comma 4, c.c. (esenzione da riduzione e collazione).

La ricostruzione in esame non è condivisa dall'opinione prevalente[26] e preferibile. Se il disponente si sostituisce all'assegnatario nell'adempimento degli obblighi di liquidazione che la legge pone a carico di quest'ultimo, la fattispecie va inquadrata, a seconda dei casi, come adempimento del terzo (art. 1180 c.c.), accollo (art. 1273 c.c.), espromissione (art. 1272 c.c.) ecc. Si tratta cioè di un negozio accessorio e ulteriore che si innesta sul patto di famiglia, non di un elemento naturale del patto di famiglia stesso.

Secondo l'opinione maggioritaria, dunque, la liquidazione effettuata dal disponente ai non assegnatari (che è adempimento del debito dell'assegnatario da parte dell'ascendente) non può beneficiare dell'esenzione da riduzione e collazione di cui all'art. 768, comma 4, c.c.

Da ciò consegue che se l'adempimento del terzo, l'accollo o l'espromissione ha causa liberale (attenzione: verso l'assegnatario che sarebbe tenuto a liquidare, non verso gli altri legittimari che sono creditori) esso dovrà essere tenuto in considerazione, come una normale donazione indiretta, all'apertura della successione del disponente.

Si nota che se il disponente potesse, in sede di patto di famiglia, effettuare ogni tipo di attribuzione esente da riduzione e collazione, si avrebbe una deroga totale al divieto dei patti successori; deroga che andrebbe però a beneficio esclusivo di chi riveste la qualifica di imprenditore.

Così sarebbe leso il principio di uguaglianza di cui all'art. 3. Cost.: l'interpretazione anzi criticata rischierebbe di consentire, per mezzo del patto di famiglia, un accesso libero ai patti successori per tutti (e soli) coloro che possano disporre di partecipazioni societarie o aziende.

Impugnative e conciliazione

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L'art. 768 quinquies c.c. ammette l'annullabilità del patto di famiglia per vizi del consenso, in base alle regole del contratto in generale, ma restringe il termine di prescrizione dell'azione da cinque anni ad un anno[27]. Si ritiene[28] che il termine di prescrizione decorra da quando si scopre l'errore o cessa la violenza ex art. 1442 c.c..

La norma ammette l'impugnazione da parte dei "partecipanti": si deve intendere che l'azione spetti a coloro che sono stati parte del contratto, e non anche i legittimari sopravvenuti, che possono solo esercitare i loro diritti in base agli effetti del contratto, a norma dell'art. 768 sexies[29].

Sono richiamate le regole di cui agli artt. 1427 ss. c.c., pertanto l'accoglimento della domanda di annullamento ha efficacia retroattiva nei soli limiti dell'art. 1445 c.c.: restano cioè salvi i diritti acquistati medio tempore dai terzi.

Ci si deve interrogare sulla ragione che ha portato il legislatore ad introdurre la norma dell'art. 768 quinquies c.c.: secondo parte della dottrina[30] la norma dev'essere interpretata come uno "sbarramento" a tutte le impugnative del patto diverse da quelle espressamente richiamate. L'opinione non può essere pienamente condivisa: per esigenze sistematiche restano certamente applicabili per lo meno i rimedi inderogabili, cioè le ipotesi di nullità del contratto (art. 1418 c.c.).

Oltre che per nullità, la dottrina prevalente[31] ammette che il patto di famiglia possa essere impugnato anche per incapacità del partecipante. In particolare si ritiene che la norma, non essendo stata richiamata, resti applicabile come di regola, entro il termine prescrizionale di cinque anni[32].

Dubbia è invece l'applicabilità del rimedio della rescissione. Per la dottrina che riconosce al contratto natura divisoria[33], troverebbe applicazione l'art. 764 c.c. che ammette l'azione di rescissione avverso gli atti parificati alla divisione (tra i quali rientrerebbe anche il patto di famiglia, pur non consistendo in un atto di scioglimento della comunione).

Rispondendo in senso positivo si possono dedurre due ordini di conseguenze: a) sono irrilevanti i discostamenti tra valore dichiarato e valore reale inferiori ad un quarto del totale; b) trova applicazione l'art. 767 c.c., cioè la facoltà di rimediare allo squilibrio contrattuale (ed evitare la rescissione) dando un supplemento in denaro o in natura.

L'art. 768 octies c.c. prevede la devoluzione preliminare delle controversie derivanti dal patto di famiglia ad uno degli organismi di conciliazione. Si ricorda che tali organismi sono stati introdotti in Italia con l'art. 38 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, e sono stati sostituiti con gli organismi di mediazione ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. A seguito della disputa sulla legittimità del c.d. "mediazione obbligatoria" (anche in tema di patto di famiglia), e della pronunzia di incostituzionalità con la sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 24 ottobre 2012[34], la mediazione è stata reintrodotta come obbligatoria, con diverse modifiche strutturali, con la l. 9 agosto 2013, n. 98 (in conversione del d.l. 21 giugno 2013, n. 69).

La ratio dell'art. 768 octies c.c. è quella di offrire uno strumento di autonomia privata sicuro e duttile, anche quando si giunge alla patologia: il ricorso alla mediazione è letto dal legislatore come una facilitazione alla composizione delle controversie, soprattutto quando sorgono in ambito familiare. Si nota infatti che è materia di conciliazione obbligatoria anche la divisione.

Dato il tenore della norma, per cui «le controversie derivanti dalle disposizioni di cui al presente capo sono devolute preliminarmente» a uno degli organismi di mediazione, è discusso se si possa derogare convenzionalmente a questa regola prevedendo, in luogo della conciliazione, una clausola compromissoria o arbitrale. Parte della dottrina ha sostenuto l'opinione positiva, argomentando che lo scopo di deflazionare il giudizio ordinario è parimenti garantito dalla clausola arbitrale[35].

La tesi che pare preferibile, anche sulla scorta delle recenti previsioni normative in tema di mediazione obbligatoria, è negativa: il preliminare tentativo di conciliazione è per il patto di famiglia norma imperativa. Il contratto potrà al più prevedere, dopo l'infruttuoso tentativo di conciliazione, la remissione della controversia ad arbitri (invece che al giudice ordinario).

Scioglimento del patto

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L'art. 768 septies c.c. prevede: «Il contratto può essere sciolto o modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia nei modi seguenti:

1) Mediante diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti di cui al presente capo;

2) Mediante recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata da un notaio»

La legge propone cioè due diverse forme per sciogliere o modificare il patto di famiglia.

La prima fattispecie richiama il disposto degli artt. 1321 e 1372 c.c.: l'ordinamento riconosce la validità di contratti modificativi o estintivi di rapporti giuridici preesistenti, e più precisamente ammette lo scioglimento del vincolo contrattuale per mutuo consenso (c.d. mutuo dissenso).

Con l'art. 768 septies n. 1) c.c. il legislatore ha introdotto una fattispecie espressa di mutuo dissenso, e sembra avere aderito alla tesi più moderna per cui il mutuo dissenso non è un contrarius actus, bensì un contratto estintivo del precedente, con efficacia risolutoria del vincolo contrattuale, applicabile anche ai contratti ad effetti reali, e anche quando tali effetti si siano già verificati.

Nelle stesse forme può darsi un contratto modificativo, con il quale le parti potranno variare, con consenso unanime, le previsione del patto di famiglia stesso.

Entrambi questi contratti, detti "di secondo grado", richiedono ad validitatem il consenso del disponente, dell'assegnatario e anche dei non assegnatari partecipanti al patto.

Ci si può chiedere se con un "contratto modificativo" il legittimario sopravvenuto possa aderire al patto; da un'analisi delle opinioni sul punto, pare prevalere la posizione più permissiva. In particolare occorrerà la partecipazione di tutti i precedenti partecipanti al patto di famiglia, il consenso del nuovo legittimario e la sua liquidazione nelle modalità di legge (768 quater c.c.); a seguito del contratto il legittimario assume la veste di partecipante al patto di famiglia, e non gli sarà più applicabile la disciplina di cui all'art. 768 sexies c.c.

Nella contrattazione in tema di cessione di azienda sono frequenti clausole con le quali le parti si impegnano reciprocamente a considerare, entro un certo termine, una nuova o ulteriore perizia concernente i valori dell'azienda ceduta, allo scopo di disciplinare eventuali conguagli. Anche tale previsione è proponibile nel patto di famiglia, ma non pare che l'attività negoziale successiva si qualifichi come un vero contratto modificativo, e che dunque si applichi l'art. 768 septies n. 1) c.c.[36].

Più complessa è la ricostruzione della disciplina dettata dal legislatore del 2006 in materia di recesso dal patto di famiglia.

L'introduzione del diritto di recesso è meramente eventuale: la sua pattuizione va indagata, nella formazione del contratto, con molta attenzione e mantenendo un atteggiamento prudente: da un certo punto di vista il recesso va in senso opposto alla ratio della normativa, che propende per la stabilità del patto.

Appare comprensibile il riconoscimento del diritto di recesso al disponente, o anche all'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni, se caratterizzato dal riferimento a circostanze determinate; più delicata è l'attribuzione del diritto di recesso ai legittimari non assegnatari, soprattutto se non sono correttamente determinati i suoi limiti.

Come suggerimento operativo, si può concludere che il contratto dovrà essere puntuale ed esaustivo nella precisazione dei presupposti che legittimano l'esercizio del diritto di recesso e nella declinazione dei suoi effetti: altro è prevedere la caducazione di tutti gli effetti del contratto e i conseguenti obblighi restitutori, altro è ipotizzare la caducazione di alcuni effetti.

In modo particolare, il riconoscimento di un diritto di recesso al legittimario non assegnatario pone l'esigenza di chiarire se l'esercizio del diritto comporta (o non comporta) il venir meno del trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni.

Si deve ricordare che parte della dottrina[37] ha sostenuto che il diritto di recesso potrebbe essere riconosciuto solo al disponente, e che il notaio dovrebbe rifiutarsi di ricevere una clausola di recesso attribuita agli altri partecipanti. L'opinione, che tende - a nostro avviso comprensibilmente - a limitare le ipotesi di recesso, non è però condivisibile, poiché in aperto contrasto con il dato letterale dell'art. 768 septies c.c. anzi riportato, che non pone limiti soggettivi[38].

Non è inoltre prevista nella norma la necessità che ricorra, per il recesso, una giusta causa, anche se, come si è detto, la materia richiede una particolare attenzione al momento della formazione del contratto. Nonostante l'ampia previsione normativa, è opportuno ricordare che la dottrina civilistica e societaria è stata per lungo tempo contraria al recesso c.d. ad nutum, considerato dimostrazione di mancanza di serietà nell'impegno negoziale[39].

In particolare la dottrina ritiene necessario che sia stabilito un termine per l'esercizio del diritto di recesso «salvo, in ogni caso, il limite ultimo della morte del disponente».[40]

Il diritto di recesso non è cedibile con atto inter vivos, poiché il patto di famiglia è atto con partecipanti qualificati soggettivamente[41]; in contrario, in caso di morte di uno dei partecipanti diversi dal disponente, il recesso si trasmetterà ai suoi eredi (a meno che il contratto stesso non preveda che il diritto di recesso è riconosciuto intuitus personae e dunque intrasmissibile mortis causa: anche sul tema è utile una precisazione negoziale).

Aderendo alla tesi qui preferita circa la natura del patto di famiglia, si reputa di escludere l'applicazione delle regole in tema di revocazione della donazione per ingratitudine e per sopravvenienza dei figli[42]. Da un lato, le esigenze di stabilità del patto, più volte sottolineate e, dall'altro, la presenza di una disciplina specifica in tema di sopravvenienza dei legittimari dovrebbe suffragare a sufficienza tali esclusioni[43].

* Corrado De Rosa, Notaio e Dottore di Ricerca in Diritto Civile

www.dplmediazione.it

[1] Sul punto L. Balestra, Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione. Parte prima, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 2007, 3, 727 ss.; E. Calo', Le piccole e medie imprese: cavallo di Troia di un diritto comunitario delle successioni?, in Nuova Giur. Civ., 1997, 2, 217 ss.

[2] I dati dello studio comunitario sono riportati da L. Salvatore, Il trapasso generazionale nell'impresa tra patto di famiglia e trust, in Notariato, 2007, 5, 553.

[3] A. Palazzo, Testamento e istituti alternativi, in G. Alpa, S. Patti, Trattato teorico-pratico di diritto privato, Padova, 2008, 438; C. Caccavale, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato, 2006, 3, 289. Nonostante la tesi sia minoritaria, si deve ricordare che il disegno di legge S/2799/XIII, presentato il 2 ottobre 1997, definiva espressamente il patto di famiglia come atto di donazione.

[4] G. Oberto, Il patto di famiglia, Padova, 2006, 62 ss., 104 ss., 118 ss. esamina in senso critico tale possibile ricostruzione, scartandola per il fatto che i beneficiari non ricevono un arricchimento "puro", poiché patiscono sacrifici alla loro futura posizione di successori necessari.

[5] A. Merlo, Appunti sul patto di famiglia, in Società, 2007, 8, 946 ss.

[6] G. Amadio, Patto di famiglia e funzione divisionale, in Riv. Notariato, 2006, 4, 867 ss.; G. Amadio, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, in Patti di famigli per l'impresa, Milano, 2006, 74; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2006, 165; N. Di Mauro, I necessari partecipanti al patto di famiglia, in Fam. Pers. Succ., 2006, 6, 539.

[7] F. Volpe, Patto di famiglia. Artt. 768 bis - 768 octies c.c., in P. Schlesinger (fondato da),F. D. Busnelli (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2012, 21.

[8] G. Amadio, Patto di famiglia e funzione divisionale, 872.

[9] M. Ieva, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori, in Riv. Not., 1997, 1375. Sul tema della divisione cfr. anche G. Amadio,S. Patti, La divisione ereditaria, Milano, 2013, 1 ss.

[10] G. Amadio, Patto di famiglia e funzione divisionale, 867 ss; G. Oberto, Il patto di famiglia, 62; G. Petrelli, La nuova disciplina del "patto di famiglia", in Riv. Notariato, 2006, 2, 407 (il quale afferma che si debba rinunziare al tentativo di incasellare il patto di famiglia in uno degli schemi tipici preesistenti alla novella).

[11] l'art. 768 quater c.c. dispone che «al contratto devono partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione (…)».

[12] Ex multis F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in Giust. Civ., 4-5, 217 ss.; N. Di Mauro, I necessari partecipanti al patto di famiglia,539; S. Delle Monache, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. Notariato, 2006, 4, 889 ss.

[13] G. e C. DE ROSA, Patto di Famiglia, in Le Successioni, Manuale Notarile, a cura di V. TAGLIAFERRI, F. PREITE e C. CARBONE, Milano, 2016. Alla luce della pronuncia di Cass. 9 ottobre 2013, n. 22977, in Giust. Civ. Mass., 2013. «In materia di comunione ereditaria, è consentito ai comproprietari, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire lo scioglimento nei confronti di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione di comproprietà tra gli altri eredi del medesimo dante causa: tale contratto, con cui i coeredi perseguono uno scopo comune, senza prestazioni corrispettive, non determinando direttamente lo scioglimento della comunione, non configura una vera e propria divisione, per la cui validità soltanto è necessaria la sottoscrizione di tutti i coeredi, ma un contratto plurilaterale, immediatamente vincolante ed efficace fra gli originari contraenti e destinato ad acquistare efficacia nei confronti degli assenti in virtù della loro successiva adesione, sempre possibile, salva diversa pattuizione, sino a quando non intervenga un contrario comune accordo o un provvedimento di divisione giudiziale».

[14] F. Delfini, Commento all'art 768 bis, in G. De Nova, F. Delfini, S. Rampolla, A. Venditti (a cura di), Il patto di famiglia: Legge 14 febbraio 2006 n. 55, Milano, 2006, 383 afferma che si configurerebbe un patto valido, ma non rientrante nella disciplina di cui al Capo V bis c.c.

[15] G. Oberto, Il patto di famiglia, 67 ss. Non pare ammissibile, alla luce dell'art. 768 quater c.c. e della natura divisoria riconosciuta al contratto, l'opinione di G. Petrelli, La nuova disciplina del "patto di famiglia", 452, per il quale i legittimari sarebbero vincolati al patto di famiglia stipulato in loro assenza e potrebbero unicamente esperire le azioni ex art. 768 sexies c.c.

[16] G. Bevivino, Il patto di famiglia: tra negozio e procedimento, in Giust. Civ., 2010, 5, 217 ss.

[17] C. Di Bitonto, Patto di famiglia: un nuovo strumento per la trasmissione dei beni d'impresa, in Società, 2006, 803.

[18] G. Baralis, Attribuzione ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali. Il patto di famiglia: un delicato equilibrio fra "ragione" dell'impresa e "ragioni" dei legittimari, in A.A. V.V., Patti di famiglia per l'impresa, nei Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, 2006, 224. Per G. Petrelli, La nuova disciplina del "patto di famiglia", 418, la possibilità di qualificare il cedente come imprenditore sarebbe "presupposto di validità" del contratto.

[19] G. Oberto, Lezioni sul patto di famiglia, in www.giacomooberto.com

[20] CNN Quesito 102-2009/I, Patto di famiglia con riserva di usufrutto a favore del disponente, di D. Boggiali. Sul punto anche G. Rizzi, I patti di famiglia, 66.

[21] G. Petrelli, La nuova disciplina del "patto di famiglia", 416; P. Manes, Il patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza, in Contratto e Impresa, 2006, 558 ss.

[22] G. Oberto, Lezioni sul patto di famiglia, in www.giacomooberto.com. Nello stesso senso F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, 220; L. Balestra, Il patto di famiglia a un anno dalla sua introduzione. Parte prima, 727 ss. Si pensi a una quota di SRL di minoranza, munita però di un diritto particolare che conceda diritti di veto o un voto più che proporzionale.

[23] G. Amadio, Divieto dei patti successori e attualità degli interessi tutelati, 74; A. Todeschini Premuda, Il patto di famiglia, 263.

[24] Si pone a questo punto un quesito: è convenzionalmente derogabile la norma che impone che la liquidazione avvenga in base alle quote di legittima? Si potrebbe, ad esempio, convenire che essa debba avvenire in base alle quote di successione ab intestato (in modo da non attribuire l'intera disponibile all'assegnatario, ma dividerla tra tutti i legittimari)? Parte della dottrina - G. Oberto, Lezioni sul patto di famiglia, in www.giacomooberto.com; G. Petrelli, La nuova disciplina del "patto di famiglia", 416 - sembra ammettere l'ipotesi della liquidazione di somme superiori rispetto a quella dettata dalla legge. Il punto è però discusso, poiché l'art. 768 quater c.c. sembra norma inderogabile, dato il suo tenore letterale ("devono liquidare … con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote" di legittima).

[25] F. Condo', Il patto di famiglia, in Federnotizie, Marzo 2006, 59; M. Lupetti, Le assegnazioni dell'imprenditore o del titolare di partecipazioni sociali nei patti di famiglia, in Società, 2007, 2, 143 ss.; A. Mascheroni, L'ordinamento successorio italiano dopo la Legge 4 febbraio 2005 n. 55, in Patti di famiglia per l'impresa, 27 ss.; G. Petrelli, La nuova disciplina del "patto di famiglia", 440.

[26] F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia,217 ss.; F. Tassinari, Problemi d'attualità. Il patto di famiglia per l'impresa e la tutela dei legittimari, in Giur. Comm., 2006, 5, 808 ss.; F. Gerbo, Il patto di famiglia: problemi dogmatici. Loro riflessi redazionali, in Riv. Not., 2007, 6, 1269 ss.; A. Di Sapio, Osservazioni sul patto di famiglia (brogliaccio per una lettura disincantata), 289 ss.. Sul punto anche CNN Quesito 86-2009/I, Patto di famiglia stipulato congiuntamente dai coniugi a favore del figlio, di D. Boggiali.

[27] La norma sulla prescrizione breve è diretta a una «finalità di stabilità e di certezza, perseguita dal legislatore limitando l'arco temporale entro il quale promuovere eventualmente l'azione e non derogando alla disciplina sui vizi del consenso». Così M. C. Lupetti, Patto di famiglia: note a prima lettura, in CNN Notizie 14 febbraio 2006.

[28] G. Bonilini, Il patto di famiglia, 675; P. Vitucci, Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. Dir. Civ., 2006, 1, 455.

[29] F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, 226.

[30] F. Delfini, Art. 768 quinquies, in G. De Nova, F. Delfini,S. Rampolla, A. Venditti (a cura di), Il patto di famiglia: Legge 14 febbraio 2006 n. 55, 33 ss.

[31] G. Bonilini, Il patto di famiglia, 675 ss.

[32] E. Lanzi, L'impugnazione del patto di famiglia, in U. La Porta, Il patto di famiglia, 235.

[33] G. Amadio, Patto di famiglia e funzione divisionale, 871 ss.; G. Bonilini, Il patto di famiglia, 676.

[34] In www.cortecostituzionale.it.

[35] F. Frattini, Controversie e conciliazione, in U. La Porta, Il patto di famiglia, 253.

[36] G. Rizzi, Il patto di famiglia, in Notariato, 2006, 4, 429 ss.

[37] M. Maggiolo, Art. 768 septies, in S. Delle Monache (a cura di) Il patto di famiglia, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2007, 101; F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, 217 ss. afferma invece che il notaio dovrebbe rifiutare la stipulazione qualora il recesso sia riconosciuto a ciascuna delle parti, «perché allora davvero la serietà del vincolo potrebbe essere discussa».

[38] A. Todeschini Premuda, Il patto di famiglia, 279.

[39] Si veda S. Delle Monache, Art. 768-bis s.s., 753.

[40] F. Volpe, Patto di famiglia. Artt. 768 bis - 768 octies c.c., 385.

[41] Contra G. Colombani, Lo scioglimento del patto di famiglia, in U. La Porta, Il patto di famiglia, 224 ss.

[42] G. Perlingieri, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Rass. Dir. Civ., 2008, 191.

[43] F. Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, 227.


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