Per la Cassazione, chi molesta i vicini per lamentarsi dei rumori prodotti da condizionatori d'aria, pompe di calore e cani, può commettere reato

di Annamaria Villafrate - La Cassazione con la sentenza n. 4673/2020 (sotto allegata) annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per estinzione del reato. Nella motivazione però, oltre a qualificare il reato di molestia di cui all'art. 660 c.p. come eventualmente abituale, non esclude che l'imputato lo abbia commesso, visto che non sono state fornite prove evidenti della sua innocenza. Gli Ermellini quindi non escludono che anche le condotte petulanti consistenti nel tentare di comunicare con i vicini in forma scritta o orale, mettere in atto azioni intrusive nella loro vita privata solo per lamentarsi dei rumori prodotti da pompe di calore, condizionatori e cani, possano integrare il reato di molestia.

Il reato di molestia

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Il tribunale condanna due imputati per concorso nel reato di cui all'art 660 c.p, per aver recato disturbo e molestia e per aver messo in atto in diverse occasioni vere e proprie azioni persecutorie mediante tentativi di comunicazione scritta e verbale, appostamenti e intrusione nella vita privata delle persone offese. Dopo aver analizzato la condotta di uno degli imputati rispetto alle posizioni delle singole persone offese ha ritenuto acquisita la prova con cui costui, aveva tenuto atteggiamenti aggressivi e molesti anche con lettere e telefonate anonime al fine di contrastare rumori fastidiosi come quelli della pompa di calore, dei cani e di condizionatori d'aria.

Il ricorso in Cassazione

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Il difensore ricorre in sede di legittimità lamentando in particolare la mancata integrazione della fattispecie contravvenzionale contestata al suo assistito.

I fatti sono stati infatti ricostruiti solo attraverso le deposizioni delle persone offese che si estendono dal 2000 fino al 2013, e che fanno riferimento a eventi tra loro scollegati, indicati genericamente, senza indicare neppure nello specifico le persone molestate. Nella sentenza quindi non è dato individuare un percorso argomentativo logico e coerente da cui risultino in modo chiaro le condotte integrative del reato di molestie, anche perché molti degli episodi, sono così risalenti nel tempo da essere ormai caduti in prescrizione.

La difesa sottolinea poi la reciprocità di certi comportamenti, e il fatto che alcuni processi intrapresi si sono conclusi con l'assoluzione delle parti. I testimoni inoltre hanno solo riferito di essere stati molestati solo per aver trovato l'imputato girovagare di fronte alle loro case. Condotta, quella di osservare a debita distanze delle persone, priva di rilevanza penale.

Erroneamente poi sono state ritenute credibili certe testimonianze, come quella in cui una persona offesa, mai controesaminta dal difensore che ha affermato di essere stata aggredita dall'imputato in diverse occasioni, condotte a cui non aveva dato seguito querelando il suo aggressore e mai confermate dagli altri testimoni.

Non si può escludere il reato in chi molesta a causa dei rumori dei vicini

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La Cassazione annulla senza rinvio la sentenza per l'emersa causa estintiva del reato.

La Cassazione rileva tuttavia che il "reato di molestie o disturbo alle persone, pur non essendo necessariamente abituale (dato che può perfezionarsi anche con il compimento di una sola azione da cui derivano gli effetti indicati dall'art 660 cp) può in concreto assumere la forma della abitualità, incompatibile con la continuazione, allorché sia proprio la reiterazione delle condotte a creare molestia o disturbo."

Nel caso di specie solo a due delle otto persone offese si può riferire il prolungamento temporale delle condotte fino al commesso reato del 2013. Da tale rilievo in relazione alle condotte commesse in danno delle suddette due persone offese "sul presupposto che, alla stregua della configurazione del reato come eventualmente abituale, si fini della prescrizione, il dies a quo va individuato in quello del compimento dell'ultimo atto antigiuridico e, quindi, esso va fissato all'ottobre 2013, si deve tuttavia rilevare che, al momento della presente decisione, la contravvenzione contestata all'imputato risulta estinta per prescrizione."

La Corte dichiara quindi estinta la contravvenzione anche se "non risulta dagli atti la prova evidente che il fatto di cui all'art 660 cp non sussista o non sia stato commesso o non costituisca reato, in relazione agli elementi accertati dalla pronuncia di merito.

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