Il reato di tortura è stato introdotto nel nostro ordinamento con la legge n. 110/17, che ha inserito nel codice penale gli artt. 613 bis e 613 ter

Il reato di tortura nel codice penale

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Con la legge n. 110/2017, che ha introdotto nel nostro ordinamento il reato di tortura (artt. 613 bis e 613 ter c.p.) l'Italia ha inteso adeguarsi a quanto previsto dalla Convenzione ONU 498/88, che impegnava gli Stati firmatari ad includere la tortura tra i reati espressamente disciplinati dal proprio diritto penale interno.

Il contenuto dell'art. 613 bis c.p., in realtà, offre una definizione di tortura più ampia rispetto al contenuto minimo prescritto dai citati obblighi internazionali.

Questa circostanza ha suscitato alcune perplessità, in quanto sembra comportare il rischio di spostare il centro di attenzione della relativa disciplina, rispetto al modello dettato dalla Convenzione ONU.

Ad ogni modo, secondo il diritto italiano, la tortura si configura ogni qual volta un soggetto "con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia (…) se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona" (art. 613 bis c.p.).

Come si vede, si tratta di una fattispecie molto articolata, che merita una breve analisi puntuale.

Il controverso richiamo alla pluralità di condotte

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Il tratto saliente della disciplina appena esposta sembra essere la necessità di più condotte, ai fini della configurazione del reato. Da più parti, però, si è evidenziato che la formulazione della norma non è del tutto chiara, sul punto.

Del resto, anche nel corso dell'iter parlamentare, si rilevava che, con riferimento all'ulteriore ipotesi di trattamento inumano e degradante, "si dovrebbe prescindere dalla pluralità delle condotte" per contestare il reato.

La delicatezza e l'importanza del passaggio in esame avrebbe meritato probabilmente maggior chiarezza, se è vero che ancora oggi la preoccupazione maggiormente avvertita, in ordine all'applicabilità concreta dell'articolo in esame, sia proprio la paventata impossibilità di rubricare come tortura quelle fattispecie che si realizzano con una singola condotta.

Rilievi in proposito, peraltro, erano stati mossi anche da una nota del Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, nel corso dell'iter di approvazione della legge.

Condotta del reo e danni arrecati alla vittima

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In base all'art. 613 bis, dunque, la tortura si realizza agendo con violenza, minacce gravi o con crudeltà. Anche queste specificazioni appaiono ulteriori rispetto al dettato della Convenzione ONU, che non prevedeva alcuna specifica forma di condotta.

Uno degli aspetti più incerti della previsione in esame appare essere quello relativo alle conseguenze arrecate alla vittima del reato, che devono consistere in "acute sofferenze fisiche o un verificabile danno psichico". È evidente come l'esigenza di verificabilità del danno rischi di compromettere l'applicabilità della norma in un ampio numero di casi concreti.

La vittima, precisa ancora il testo normativo, deve essere una persona privata della libertà personale o affidata alla "custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza" dell'autore del reato oppure un soggetto che si trovi in condizioni di minorata difesa.

Tortura da parte di pubblico ufficiale

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Il punto maggiormente controverso della disciplina in esame è rappresentato proprio dalla prima parola dell'articolo in esame, quel "chiunque" che rende passibile di sanzione anche il privato cittadino, laddove la convenzione ONU aveva previsto il reato di tortura come reato proprio del pubblico ufficiale.

Ciò ha suscitato il timore che si perdesse di vista, in qualche modo, l'esigenza principale che era alla base della disciplina posta dalla convenzione, e che ciò si risolvesse in una più debole perseguibilità degli episodi di abuso di potere da parte di pubblici ufficiali.

Tali preoccupazioni, del resto, sono l'evidente riflesso di alcuni noti episodi di cronaca accaduti in Italia, che hanno suscitato ampio dibattito in merito.

Ad ogni modo, la tortura perpetrata da pubblico ufficiale si configura, nel diritto italiano, come circostanza aggravante del reato, in virtù della previsione del secondo comma dell'art. 613 bis c.p.

Istigazione alla tortura

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La disciplina posta dall'articolo in esame si completa con la previsione dell'aumento di pena, nel caso in cui, dagli atti di tortura, derivino lesioni personali a carico della vittima o la sua morte.

Il successivo art. 613 ter, introdotto dalla medesima legge, punisce invece il pubblico ufficiale che istighi altro pubblico ufficiale a commettere tortura, nei casi in cui l'istigazione non venga accolta o, se accolta, non venga comunque commesso il delitto.

È evidente che se l'istigazione è accolta e il reato viene commesso, si applicano, invece, le norme in tema di concorso di persone nel reato.


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